Inoltre, la modulazione dell'infiammazione degli organi bersaglio associata a un miglioramento del numero di placche coronariche non calcifiche a un anno suggerisce che il controllo dei siti remoti di infiammazione può tradursi in un rischio cardiopatia ridotto. Queste sono le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori coordinati da Joseph B. Lerman del National Institutes of Health, Bethesda, USA. Partendo dal presupposto che la psoriasi, malattia infiammatoria cronica associata ad un rischio aumentato di infarto miocardico, fornisce un modello umano ideale per studiare l'aterogenesi infiammatoria in vivo, i ricercatori, ipotizzando che l'aumento del rischio cardiovascolare osservato nella psoriasi sarebbe in parte dovuto ad una elevata malattia coronarica subclinica (CAD) costituita da placche non calcificate ad alto rischio di rottura, hanno voluto confrontare la prevalenza di placca coronarica...continua a leggere