L’insufficienza renale è una delle comorbosità di più frequente riscontro nei pazienti con fibrillazione atriale (1,2) ed uno dei più importanti determinanti prognostici (3). Questi pazienti presentano, infatti, da un lato un aumentato rischio tromboembolico – che giustifica l’adozione di una anticoagulazione efficace – e dall’altro un aumentato rischio emorragico – che potrebbe, invece, orientare verso una condotta terapeutica particolarmente prudente (4-7). Il delicato equilibrio del rapporto benefici/rischi della terapia anticoagulante non di rado esita in scelte terapeutiche non completamente adeguate a fornire a questi pazienti una protezione efficace (8,9). Il dilemma gestionale della terapia anticoagulante nel paziente fibrillante con insufficienza renale poggia su due fondamentali elementi di riflessione: da un lato la necessità di garantire la protezione il più efficace e sicura possibile del tromboembolismo arterioso, dall’altro la necessità di evitare, o quantomeno rallentare, ogni ulteriore progressione del danno renale. Per ciò che attiene il primo aspetto, la soluzione potrebbe apparire relativamente semplice. Nel caso si utilizzino gli antagonisti della vitamina K (AVKA) – oggi, opportunamente, sempre più confinati in una posizione marginale - è fondamentale controllare che l’INR sia stabilmente nel range terapeutico. Invero, al di là delle oggettive difficoltà nel raggiungere questo obiettivo nei pazienti...continua a leggere
ABSTRACT SEMPLIFICATO DEI CONTENUTI DI CARDIOLINK SCIENTIFIC NEWS
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