PIU’ VELOCI CHE MAI… CON LA TAVI

L’impianto di valvole aortiche per via percutanea sta rapidamente cambiando il nostro modo di pensare alla stenosi valvolare aortica?

L’attacco è stato sferrato. Forse una nuova era nel trattamento della patologia valvolare aortica degenerativa calcifica senile è iniziata. La valvulopatia più frequente oggi nel mondo occidentale nei pazienti di età superiore ai 65 anni ha un nuovo nemico: la TAVI (transcatheter aortic valve implantation). Al di là dello spot, vediamo in dettaglio come stanno davvero le cose. È di dominio comune che la stenosi aortica degenerativa calcifica è la valvulopatia più frequente nel mondo occidentale e che è strettamente ed intimamente legata all’invecchiamento della popolazione. È altrettanto noto a tutti che l’unica terapia che ha dimostrato un vero e reale impatto sulla prognosi dei pazienti colpiti è la sostituzione valvolare chirurgica, data la prognosi altamente infausta nel momento in cui questa diventa sintomatica (Figura 1).Figura 1 Per ultimo, ma non certamente meno importante, circa un terzo dei pazienti affetti da stenosi valvolare aortica severa non viene sottoposto a sostituzione valvolare chirurgica per diversi motivi, tra i quali l’età e/o la coesistenza di altre patologie (coronaropatia ostruttiva severa, vasculopatia polidistrettuale, insufficienza renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva, diabete mellito etc.) che fanno ritenere l’intervento chirurgico troppo ad alto rischio. Partendo da queste brevi e doverose premesse, si può immaginare come la possibilità di un impianto protesico in sede aortica per via percutanea in pazienti in cui la chirurgia standard sia considerata ad alto rischio o non sia realizzabile per motivi strettamente tecnici (ad es. aorta a porcellana, pregressa radioterapia mediastinica, pregresso intervento di by-pass aortocoronarico con by-pass venosi pervi) possa rappresentare una vera e propria rivoluzione copernicana nel trattamento di questa patologia. Il primo impianto transcatetere risale al 2002 ad opera di Alain Cribier. Da allora la protesica percutanea valvolare aortica si è velocemente evoluta portando rapidamente a tre documenti di consenso: il primo apparso nel 2008 sull’European Heart Journal, documento di consenso delle Società Europea di Chirurgia cardio-toracica (EACTS), Società Europea di Cardiologia (ESC) e in collaborazione con l’EAPCI (European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions), il secondo sempre nel 2008 dell’American Heart Council on Cardiovascular Surgery and Anesthesia e dell’American Council of Clinical Cardiology e l’ultimo, apparso recentemente sul Giornale Italiano di Cardiologia nel Gennaio 2010, della nostra Federazione Italiana di Cardiologia (FIC) e della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca (SICCH). Attualmente le tecniche di sostituzione valvolare aortica per via percutanea prevalentemente utilizzate sono quella “transfemorale” e quella “transapicale”. L’approccio anterogrado iniziale per via venosa femorale con puntura transettale è stato rapidamente abbandonato a causa delle difficoltà tecniche e per le numerose complicanze. I primi case report e i primi registri clinici delle TAVI hanno sempre riguardato pazienti con controindicazioni alla chirurgia cardiaca di sostituzione valvolare aortica per l’eccessivo rischio operatorio a causa della presenza di severe comorbilità, basandosi su un giudizio clinico preso collegialmente (Cardiologo, Cardiochirurgo) e con l’ausilio di veri e propri calcolatori del rischio quali l’EuroSCORE (European System for cardiac Operative Risk Evaluation) additivo e logistico ed il STS-PROM (Society of Thoracic Surgery Predicted Risk of Mortality) dimostratisi utili nel predire la mortalità operatoria e la mortalità a 30 giorni. Attualmente, secondo la recente Consensus FIC-SICCH, i pazienti candidati a procedura di TAVI sono pazienti affetti da stenosi aortica severa, sintomatici, con età maggiore a 75 anni e con EuroSCORE logistico >20, oppure pazienti con età superiore a 85 anni ed EuroSCORE logistico >10, oppure pazienti con disfunzione di protesi valvolare aortica biologica con indicazione a reintervento ma ad elevato rischio chirurgico. Altre categorie di pazienti potenzialmente candidati a TAVI sono rappresentate da pazienti con controindicazioni assolute alla chirurgia, indipendentemente dall’età, per la presenza di problematiche tecniche quali, ad esempio, la presenza di estese calcificazioni aortiche (aorta a porcellana), o per la presenza di comorbilità non contemplate dai comuni sistemi di valutazione del rischio cardiochirurgico, quali la cirrosi epatica, o la coesistenza di condizioni che fanno ritenere il paziente particolarmente fragile e per il quale un gesto chirurgico potrebbe risultare fatale. Attualmente sono in commercio due tipi di protesi, la CoreValve (CoreValve Inc., Medtronic, Irvine, CA, USA) costituita da lembi in pericardio porcino, montati su uno stent di nitinolo autoespandibile, disponibile in due misure (26 e 29 mm) che viene introdotta per via transarteriosa (femorale o succlavia) e la Edwards SAPIEN Valve (Edwards Lifescience Inc., Irvine, CA, USA) costituita di tre lembi di pericardio bovino montati su uno stent di acciaio, cromo-cobalto nella recente versione XT, espandibile mediante pallone, disponibile attualmente in due misure (23 e 26 mm) con possibilità di approccio sia transfemorale che transapicale (Figura 2).Figura 2 A seconda della modalità di impianto utilizzata saranno differenti i dispositivi e gli introduttori impiegati. La scelta del tipo di device e della modalità di impianto (transfemorale o transapicale) è determinata da diverse variabili, tra le quali le dimensioni dell’anulus aortico (determinate mediante ecocardiografia transtoracica e/o transesofagea), le caratteristiche degli accessi vascolari (determinate mediante angiografia periferica ed angioTC multistrato) e le condizioni cliniche del paziente. Entrambi gli approcci hanno ormai un successo procedurale stimabile in circa il 90%. Fondamentale per il successo procedurale è l’esperienza maturata dal Centro e dall’equipe medico-chirurgica coinvolta. Per l’approccio transfemorale la mortalità a 30 giorni è variabile tra le varie casistiche tra il 5 e il 18%. Inoltre, sono riportati buoni risultati a distanza sia per quanto riguarda il calcolo dell’area valvolare sia per quanto riguarda il gradiente medio a oltre 2 anni dall’impianto con netto miglioramento della sopravvivenza e della classe funzionale NYHA (Figura 3).Figura 3 L’insufficienza aortica perivalvolare è risultata lieve e stabile durante il follow up nella maggior parte dei pazienti. Le complicanze maggiori risultano essere quelle vascolari, che presentano un’incidenza variabile dal 10 al 15%, rimanendo una causa importante di mortalità e morbilità in questi pazienti. Altra problematica rilevante nei pazienti sottoposti a TAVI transfemorale è rappresentata dagli eventi cerebrovascolari. L’ictus cerebrale dopo impianto di TAVI per via transfemorale ha una incidenza variabile tra il 3% ed il 9% delle procedure. Recentemente un piccolo studio apparso sul JACC ad opera di Ghanem A. e Coll. ha analizzato gli eventi embolici cerebrali dopo esecuzione di procedura transfemorale in 30 pazienti. In questo studio si è analizzato non solo lo stroke sintomatico, ma anche l’incidenza di eventi ischemici cerebrali “asintomatici” mediante studio con risonanza magnetica. In dettaglio, venivano eseguiti una valutazione neurologica, test laboratoristici e risonanza magnetica prima dell’esecuzione della procedura di TAVI, due giorni dopo e dopo circa tre mesi, dimostrando come gli eventi ischemici appena dopo la procedura sono frequenti (73%), ma che l’incidenza di embolismo cerebrale a distanza è ridotto (3.6%). Gli autori dello studio hanno sottolineato che, benché asintomatici, la presenza di un così considerevole numero di fenomeni embolici cerebrali deve necessariamente portare ad una attenta gestione della terapia anticoagulante periprocedurale e che uno studio analogo sull’approccio transapicale sarebbe molto importante per capire il ruolo del passaggio del device attraverso l’arco aortico e la valvola calcifica come potenziale sorgente di embolismo cerebrale. Sono comunque già in fase di sperimentazione sistemi di protezione che limitino la sofferenza cerebrale periprocedurale nei pazienti sottoposti a TAVI per via transfemorale. Anche per l’approccio transapicale, certamente più invasivo dell’approccio transfemorale, eseguito mediante mini-toracotomia sinistra, sono state riportate percentuali di successo analoghe alla metodica transfemorale, anche se i pazienti selezionati per l’approccio transapicale sono solitamente più ad alto rischio per la presenza di una severa arteriopatia polidistrettuale che preclude l’accesso transfemorale con i dispositivi attualmente disponibili. Analoghi sono inoltre i dati di mortalità a 30 giorni, variabili a seconda delle casistiche tra il 9 e il 18%. L’incidenza di ictus cerebrale appare lievemente inferiore (0-6%) rispetto all’approccio transfemorale. L’insufficienza aortica emodinamicamente significativa è risultata essere una rara complicanza (circa il 3% nella più ampia casistica multicentrica pubblicata nel 2007 da Circulation ad opera di Webb e coll.). Interessante notare che al momento non vi sono studi importanti di comparazione tra i due approcci impiegati. L’unico studio, molto recente, è apparso sul JACC nel 2010, riguardante 75 pazienti con una mortalità complessiva intraospedaliera del 10%. Nei pazienti trattati con approccio transfemorale (51 pazienti) la sopravvivenza media ad un anno è stata del 81 ±7%. Nel gruppo trattato con approccio transapicale (24 pazienti) la sopravvivenza media ad un anno è stata del 78 ±6% con una “p” tra i due gruppi che non ha raggiunto la significatività (p=0.22). All’analisi multivariata, la scarsa esperienza nei due tipi di procedure è risultata essere la principale causa di mortalità tardiva (sopravvivenza a circa un anno dei primi 25 pazienti stimata nel 60 ±10% vs il 93 ±4% degli ultimi 50 pazienti, con una p=0.001) (Figura 4).Figura 4 Al momento, la tecnica transapicale rappresenta la metodica di scelta in quei pazienti con severa vasculopatia, tale da controindicare la tecnica transfemorale. Nonostante il grande entusiasmo generato dalla TAVI, rimangono da chiarire numerosi aspetti. Per quanto riguarda la gestione antiaggregante/anticoagulante di questi dispositivi protesici, le industrie produttrici, al momento, raccomandano l’associazione di acido acetilsalicilico 100 mg e clopidogrel 75 mg per almeno 2-3 mesi dopo l’impianto, proseguendo poi con la sola aspirina. Tuttavia, non vi sono evidenze chiare riguardo tali terapie, in particolare per quanto concerne pazienti a rischio cardioembolico elevato, quali ad esempio quelli con fibrillazione atriale permanente, bassa funzione contrattile ventricolare sinistra, in cui una terapia con anticoagulanti potrebbe avere un ruolo non marginale. Ancora non si conosce l’effettiva incidenza di endocarditi o di eventi embolici dopo impianto di questi device. I pazienti con bicuspidia aortica al momento non sono candidati alle procedure transcatetere a causa di un orifizio valvolare generalmente ellittico che può predisporre ad una insufficienza aortica perivalvolare. Inoltre, pazienti con stenosi aortica severa con basso gradiente transvalvolare per scarsa funzione contrattile del ventricolo sinistro, gravati di alta mortalità perioperatoria specialmente se non responsivi ai test di stimolazione della riserva contrattile, possono essere eleggibili all’impianto transcatetere, anche se ancora rimane da chiarire se tale procedura riesca davvero a modificare la prognosi a lungo termine di questo sottogruppo di pazienti. Per ultimo, ma non meno importante, nulla sappiamo sui processi degenerativi dei materiali eterologhi impiegati nella realizzazione delle protesi transcatetere e quindi sulla durata funzionale delle protesi stesse; pertanto, pochissimo conosciamo circa la necessità e l’efficacia di un eventuale ulteriore intervento su protesi percutanee già impiantate. Una particolare menzione merita la procedura di “valve-in-valve”, ossia l’impianto di protesi transcatetere su precedente protesi biologica aortica mal funzionante; già contemplata nelle raccomandazioni FIC-SICCH, appare una procedura promettente anche se attualmente eseguita in un numero molto limitato di pazienti. In uno studio recentemente pubblicato su Circulation ad opera di Webb e Coll., 10 pazienti portatori di protesi biologiche aortiche mal funzionanti sono stati sottoposti a TAVI. La procedura d’impianto transcatetere su valvola aortica è stata fattibile nel 100% dei casi, con riduzione dei gradienti transvalvolari (35.3±15.7 mmHg vs 20.2±6.7 mmHg: p<0.01), della classe funzionale NYHA e con un esiguo numero di complicanze. Quale futuro ci attende? Stiamo assistendo ad una importante ricerca di materiali che permetteranno di utilizzare accessi vascolari periferici sempre più piccoli, di sistemi di protezione cerebrale (come ad esempio il dispositivo Embrella Embolic Deflector) e di nuove protesi valvolari (Sadra Lotus, Direct Flow, Paniagua PHV, AorTx). Siamo in attesa del completamento dello studio PARTNER US (Placement of AoRTic traNcathetER), trial prospettico randomizzato, con end-point primario di mortalità ad un anno, dove si sono arruolati pazienti statunitensi e canadesi, randomizzati in due bracci di trattamento. Il primo, di circa 350 pazienti, non chirurgico, che confronterà la terapia medica ottimizzata e la valvuloplastica aortica alla TAVI in pazienti con controindicazione assoluta alla chirurgia aortica ed il secondo braccio, di circa 690 pazienti, quello chirurgico, dove si analizzerà l’equivalenza in termini di non inferiorità tra TAVI e chirurgia valvolare aortica in pazienti ad alto rischio chirurgico (STS score>10%). La protesi impiantata sarà la Edwards SAPIEN Valve sia tramite approccio transfemorale che transapicale. I risultati di questo trial determineranno forse con più precisione il ruolo della TAVI nel complesso panorama dei pazienti affetti da stenosi valvolare aortica. Fermo restando che allo stato attuale il gold standard nel trattamento della stenosi valvolare aortica degenerativa calcifica è rappresentato dalla procedura di sostituzione valvolare aortica con la metodica chirurgica tradizionale, forte degli ottimi risultati sin qui raggiunti, la TAVI rappresenta una nuova metodica in continua e rapidissima evoluzione, a cui tutti noi dobbiamo guardare con attenzione ”per non perdere il treno ad alta velocità”.

Leonardo Fontanesi
Hesperia Hospital
Modena