ECCESSO DI RIBASSO

Lo studio INVEST mette in allerta sull’eccessivo abbassamento della pressione arteriosa nei pazienti diabetici con malattia coronarica. Analogie con lo studio ACCORD.

Un controllo troppo rigido della pressione arteriosa nei pazienti diabetici e con malattia coronarica non è più efficace della normale terapia antipertensiva nel prevenire l’attacco cardiaco, l’infarto o la morte. Anzi, in alcuni casi può addirittura essere dannoso, come evidenziano recenti ricerche scientifiche presentate alla 59° Annual Scientific Session dell’American College of Cardiology, tenutasi nel marzo 2010 ad Atlanta, dove i Cardiologi si sono confrontati sulle più recenti acquisizioni nella medicina cardiovascolare. Lo studio INVEST (International Verapamil SR-Trandolapril Study), presentato dalla dott.ssa Cooper-deHoff, ha evidenziato che nei pazienti affetti sia da diabete, che da documentata malattia arteriosa coronarica (CAD) il mantenimento della pressione arteriosa sistolica al di sotto di 140 mmHg è associato ad una significativa riduzione del rischio cardiovascolare. Comunque, un trattamento intensivo, tale da ridurre la pressione arteriosa sistolica al di sotto di 130 mmHg, non sembra conferire ulteriori vantaggi. Le Linee Guida attuali sul controllo della pressione arteriosa indicano che “lower is better”, ma i dati dello studio INVEST indicano un limite al di sotto del quale, per i pazienti con diabete e CAD, si verifica un paradossale aumento del rischio cardiovascolare. Circa due terzi dei pazienti diabetici adulti hanno valori pressori elevati. Secondo le linee guida del “Seventh Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure” l’obbiettivo è di mantenere al di sotto dei valori di 130/80 mmHg i valori pressori delle persone diabetiche. INVEST è il primo studio che ha criticamente valutato gli effetti dell’abbassamento della pressione sistolica nei pazienti affetti da diabete e cardiopatia ischemica documentata. Nello studio, sono stati randomizzati 6.400 pazienti con diabete e CAD a terapia antipertensiva basata su un calcio-antagonista o un beta-bloccante, associati ad un ACE-inibitore e/o un diuretico tiazidico. Il target era una riduzione della pressione arteriosa al di sotto di 130/85 mmHg. Per l’analisi i pazienti sono stati classificati a seconda dei livelli di pressione arteriosa raggiunta. I pazienti con una pressione sistolica di 140 mmHg o più, quasi un terzo dei pazienti, erano classificati come “not controlled”, quelli con pressione sistolica sotto i 130 mmHg erano classificati come “tight control”, mentre quelli con una pressione sistolica intermedia, maggiore di 130 mmHg ma inferiore a 140 mmHg, erano classificati come “usual control”. Il periodo di follow-up, equivalente ad un periodo complessivo di 16.893 anni-paziente, ha dimostrato che nel gruppo “not controlled” il rischio combinato di morte, attacco cardiaco o infarto era più alto del 50% rispetto all’”usual control”. L’analisi dei dati ha dimostrato però che un abbassamento della pressione sistolica al di sotto di 130 mmHg è associato ad un significativo incremento del rischio di morte per ogni causa rispetto al normale controllo pressorio, evidente già dopo 30 mesi di follow-up e persistente nei successivi cinque anni. Quando poi i ricercatori hanno analizzato incrementi di 5 mmHg nel gruppo “tight control” hanno scoperto che una pressione sistolica sotto i 115 mmHg era associata ad un’aumentata mortalità (Figura 1). Il motivo per cui una pressione eccessivamente bassa può essere dannosa non è chiaro. Possibili spiegazioni sono un basso flusso di sangue ad organi critici come il rene ed il cervello o che la bassa pressione arteriosa in alcuni pazienti può essere un marker di gravi comorbilità o di un’arteriopatia obliterante avanzata. Questi meccanismi probabilmente sono legati alla bassa pressione diastolica, ma naturalmente quando la pressione sistolica è bassa lo è anche la diastolica. I pazienti diabetici con cardiopatia ischemica e nei quali la pressione arteriosa non è controllata, hanno un elevato rischio di eventi avversi cardiovascolari, di conseguenza il messaggio di mantenere la pressione sistolica al di sotto di 140 mmHg è tuttora appropriato. Comunque, non è necessario abbassare al di sotto di 130 mmHg la pressione per ridurre tale rischio, ma soprattutto è importante non scendere al di sotto di 115 mmHg perché questo potrebbe aumentare la mortalità. Questi risultati sono in linea con lo studio ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) che prevede un braccio per il controllo della pressione arteriosa, dal quale non emerge un beneficio da un controllo pressorio troppo rigido. Entrambi gli studi hanno arruolato pazienti diabetici, con la differenza che nello studio INVEST la totalità dei pazienti aveva una malattia coronarica documentata, mentre nello studio ACCORD la percentuale era del 30%. Si ribadisce quindi, anche in questo caso, di non abbassare la pressione sistolica al di sotto dei 130 mmHg, mentre l’impegno dei Medici dovrebbe essere volto maggiormente a consigliare ai pazienti una modifica dello stile di vita e una maggiore attenzione alla dieta.

Nicola Maurea
Gianluca Ragone

Dipartimento d’urgenza e struttura complessa di Cardiologia I.N.T.
Fondazione Pascale
Napoli