TROPPO OBAMA

La riforma sanitaria americana domina la scena dell’ACC 2010. Pochi i trial importanti tra cui NAVIGATOR ed ACCORD.

Nella classica cornice di Atlanta si è svolto il congresso annuale dell’American College of Cardiology durante il quale il tema dominante è stata la storica riforma sanitaria voluta dal Presidente Obama che ha pervaso in lungo ed in largo moltissime discussioni ed eventi. In realtà sono stati presentati pochi trial nuovi ed alcuni studi, già presentati al Congresso ESC 2009, sono stati riproposti senza analisi ulteriori aggiuntive di grande rilievo. Sicuramente molta attesa era posta sullo studio NAVIGATOR (Nateglinide and Valsartan in Impaired Glucose Tolerance Outcomes Research) che ha valutato l’impiego di nateglinide, uno stimolatore della secrezione insulinica, e del valsartan nella prevenzione della comparsa di diabete ed eventi cardiovascolari in pazienti con alterata tolleranza glucidica. I pazienti sono stati randomizzati in modo fattoriale a nateglinide (n=4.645) o placebo (n=4.661), oppure valsartan (n=4.631) o placebo (n=4.675). La dose iniziale di valsartan era di 80 mg/die, che veniva aumentata a 160 mg/die mentre la dose iniziale di nateglinide era di 30 mg/tre volte al giorno, aumentata a 60 mg/tre volte al giorno. Tutti i pazienti sono stati inclusi in un programma clinico e telefonico d’intervento per la modificazione dello stile di vita. Gli end-point primari dello studio erano: nuova incidenza di diabete mellito di tipo 2 ed un end-point cardiovascolare composito che includeva morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale, ictus, rivascolarizzazione, ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco o angina instabile. Dopo 5 anni di follow-up la riduzione di eventi cardiovascolari è risultata simile nei pazienti in trattamento con il valsartan ed in quelli trattati con placebo. Il valsartan ha ridotto l’incidenza di diabete mentre la nateglinide non ha ridotto né l’incidenza del diabete di nuova comparsa, né gli eventi cardiovascolari avversi. Questi risultati sono di notevole interesse per il trattamento dell’ipertensione, in quanto chiariscono indubbiamente il ruolo del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) ed il relativo intervento terapeutico su di esso sia nel controllo pressorio che nel sostenere l’insorgenza di diabete mellito. Inoltre, anche dopo la pubblicazione dello studio ONTARGET, sembra chiaro che non tutti i bloccanti dei recettori dell’angiotensina II abbiano la stessa efficacia e quindi debbano essere usati prioritariamente. Da ricordare che anche gli ACE-inibitori sono efficaci sul RAAS e, al momento, hanno un costo inferiore. Tutti i dati in esteso dello studio NAVIGATOR sono reperibili nello Speciale dedicato su www.cardiolink.it. Risultati importanti da un punto di vista clinico sono stati quelli dello studio RACE II (Rate Control Efficacy in Permanent Atrial Fibrillation). Nonostante sia ormai ben acclarato che la strategia di controllo della frequenza cardiaca comporti una prognosi sovrapponibile rispetto alla strategia di controllo del ritmo nella fibrillazione atriale, non è chiaro quale sia la risposta ventricolare media ottimale in corso di fibrillazione atriale. Lo studio RACE II ha confrontato l’effetto di due strategie di controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale (lenient, al di sotto dei 110 b.p.m. e strict al di sotto dei 90 b.p.m). Sono stati randomizzati 614 pazienti, di cui 311 sono stati assegnati alla strategia di controllo non rigido e 303 alla strategia di controllo stretto della risposta ventricolare media. L’incidenza a 3 anni dell’end-point primario è risultata simile fra i due gruppi in studio con 12,9% vs 14,9% nel gruppo in controllo non rigido vs il gruppo in controllo stretto della frequenza ventricolare (HR 0,84, IC al 90% da 0,58 a 1,21, p=0,001 per la non-inferiorità). Anche gli end-point secondari sono risultati sovrapponibili fra i due gruppi: in particolare, l’incidenza di morte per cause cardiovascolari è stata 2,9% vs 3,9%, l’incidenza di scompenso cardiaco congestizio è stata 3,8% vs 4,1%, l’incidenza di sincope 1% vs 1%. Tuttavia, l’incidenza di ictus è risultata significativamente inferiore nel gruppo assegnato al controllo non rigido della frequenza ventricolare, rispetto al gruppo in controllo stretto della frequenza (1,6% vs 3,9%, p<0,05). Questo trial indica che una strategia di controllo non rigido della frequenza cardiaca nei pazienti con fibrillazione atriale è più semplice da realizzare ed è equamente efficace nel ridurre gli eventi a lungo termine. Rimanendo in tema di fibrillazione atriale lo studio CABANA (Catheter Ablation Versus Antiarrhythmic Drug Therapy for Atrial Fibrillation) ha valutato l’efficacia dell’ablazione transcatetere rispetto all’uso di farmaci antiaritmici nella fibrillazione atriale. Questo studio ha valutato l’ipotesi che l’ablazione transcatetere primaria per l’eliminazione della fibrillazione atriale sia superiore rispetto alla terapia farmacologica ottimale in pazienti ad alto rischio. Sono stati inclusi pazienti con 2 o più episodi di fibrillazione atriale parossistica nell’arco di 4 mesi o almeno un episodio di fibrillazione atriale persistente (>1 settimana). La procedura di ablazione è stata eseguita per via percutanea, con isolamento di tutte e quattro le vene polmonari. Se necessario, veniva eseguita anche una ulteriore ablazione lineare o circonferenziale. Nel braccio assegnato alla terapia farmacologica i pazienti potevano essere trattati secondo la strategia di controllo del ritmo (16%), di controllo della frequenza (13%), o entrambi (71%). Sono stati randomizzati 60 pazienti in tutto; nel gruppo assegnato all’ablazione transcatetere l’incidenza dell’assenza di fibrillazione atriale sintomatica è risultata significativamente più elevata rispetto al gruppo assegnato ai farmaci antiaritmici (65% vs 41%, [HR] 0,46, IC al 95% da 0,21 a 0,99, p=0,03). Tuttavia, l’incidenza di tutti gli episodi di FA, flutter atriale o tachicardia atriale è risultata simile nei due gruppi (66% vs 72%, HR 0,69, IC al 95% da 0,37 a 1,32, p=0,26). I risultati dello studio pilota del trial CABANA confermano dati precedenti che suggeriscono che il controllo della frequenza o del ritmo con farmaci antiaritmici è simile se non superiore a quelli dell’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale. Sebbene i diuretici endovena rappresentino la terapia di routine nel trattamento dello scompenso cardiaco acuto non è chiaro quali siano i dosaggi e le vie di somministrazione ottimali. Lo studio DOSE (Diuretic Optimization Strategies Evaluation in Acute Heart Failure) ha valutato la sicurezza e l’efficacia di differenti strategie di dosaggio dei diuretici in pazienti che presentavano una riacutizzazione di scompenso cardiaco. Sono stati arruolati 308 pazienti con diagnosi clinica di scompenso cardiaco e in terapia domiciliare con diuretici dell’ansa da almeno un mese. I pazienti sono stati randomizzati entro 24 ore dall’ammissione in ospedale per una diagnosi di scompenso cardiaco. Tutti i soggetti sono stati randomizzati a boli di furosemide e ogni 12 ore paragonati ad infusione continua con incremento del dosaggio di una volta la dose orale oppure ad infusione con incremento elevato del dosaggio (2,5 volte la dose orale) di furosemide. Non sono state rilevate differenze fra la somministrazione di boli ogni 12 ore e l’infusione continua di diuretico nella scala di valutazione soggettiva del paziente, la creatininemia ha presentato un andamento simile tra i gruppi (0,05 vs 0,07 mg/dl, p=0,45). Non sono state evidenziate differenze per quanto riguarda il confronto fra il ridotto incremento del dosaggio e l’elevato incremento del dosaggio di diuretico. Pertanto lo studio DOSE dimostra che non ci sono differenze in termini di risoluzione dei sintomi, né in termini di variazione della funzione renale, fra la somministrazione di boli ev ogni 12 ore e l’infusione ev continua di furosemide, né fra un regime di ridotto incremento del dosaggio e un regime di elevato incremento del dosaggio. Tra gli altri studi presentati al congresso vanno ricordati l’ACCORD-LIPID (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) che ha valutato l’effetto della combinazione statina+fibrato contro la sola statina in una popolazione di pazienti diabetici non evidenziando alcun beneficio dell’associazione nel ridurre ulteriormente gli eventi avversi cardiovascolari rispetto alla sola statina ma rilevando l’utilità di impiego del fibrato nei soggetti diabetici con dissesto del profilo lipidico non solo LDL. Prossimamente il Focus on ACCORD-LIPID sarà pubblicato su www.cardiolink.it. Lo studio ACCORD-BP (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) ha invece valutato il confronto fra due strategie di controllo della pressione arteriosa, sotto i 120 mmHg di sistolica o una più blanda sotto i 140 mmHg, ancora in una popolazione di pazienti diabetici, dimostrando che una strategia più aggressiva non riduce ulteriormente gli eventi cardiovascolari. Il trattamento aggressivo della pressione arteriosa, tuttavia, si associa ad una minore incidenza di ictus. Lo studio EVEREST II (Endovascular Valve Edge-toEdge Repair Study) ha invece confermato l’efficacia dell’evoluzione della tecnica di Alfieri per la riparazione della valvola mitralica. Lo studio ha confrontato l’impiego percutaneo della mitral clip, che rappresenta l’evoluzione della nota tecnica Alfieri stich, con il classico intervento di riparazione o sostituzione valvolare nell’insufficienza mitralica ed ha dimostrato che tale approccio è simile all’intervento tradizionale nei risultati ad un anno e con una notevole riduzione di effetti collaterali avversi. Infine, sono stati presentati ancora una volta i dati dello studio RE-LY (Randomized Evaluation of Long Term Anticoagulant Therapy). Lo studio ha valutato l’efficacia e la sicurezza di due dosaggi di dabigatran etexilato (110 mg BID e 150 mg BID) e warfarin (INR 2.0-3.0), in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare per la prevenzione dell’ictus ed embolismo sistemico. L’outcome primario di efficacia è stato l’ictus e l’embolismo sistemico, mentre per la sicurezza il sanguinamento maggiore. Entrambi i dosaggi di dabigatran etexilato hanno dimostrato la non inferiorità rispetto alla terapia con warfarin a dosaggio ottimale. Il dabigatran etexilato al dosaggio di 150 mg BID ha dimostrato una superiorità rispetto a warfarin nel ridurre il rischio di ictus e di embolismo sistemico del 34% (p<0.001), mentre il rischio di un sanguinamento maggiore era sovrapponibile a quello con warfarin. Tuttavia si è evidenziata una incidenza più bassa di IMA nel gruppo warfarin probabilmente dovuta al potente effetto preventivo del warfarin sugli eventi coronarici. Nei gruppi di trattamento dabigatran etexilato si è verificata una maggior percentuale di emorragie gastrointestinali e di dispepsia rispetto al gruppo warfarin. Ciò è probabilmente dovuto alla formulazione di dabigatran in quanto, per favorire l’assorbimento di dabigatran, è necessario un basso pH; per questo motivo le capsule contengono piccoli pellets di acido tartarico. Secondo le Linee Guida dell’ACC/AHA/ESC gli antagonisti della vitamina K sono altamente raccomandati per i pazienti con FA a rischio moderato o alto di ictus (CHADS-2 score ≥2). I risultati di RE-LY offrono un’alternativa agli antagonisti della vitamina K ai pazienti in cui il controllo dei valori di INR si dimostra difficile. Da valutare nel prossimo futuro, alla luce di maggiori dati, se pensare di sostituire il warfarin con il dabigatran.

Giuseppe Rosano
Centro di Ricerca Clinica e Sperimentale - Dipartimento di Scienze Internistiche - IRCCS San Raffaele – Roma