VIETATO ASPETTARE

Indispensabile raggiungere subito i livelli target di colesterolo LDL in base alla situazione clinica del paziente. Nuovi dati dallo studio SEAS per l’associazione ezetimibe/simvastatina.

I principali studi epidemiologici e i mega-trial clinici degli ultimi 50 anni ci dimostrano chiaramente come la relazione fra colesterolemia LDL e rischio cardiovascolare sia di tipo lineare e tanto più forte quanto maggiore è il rischio cardiovascolare basale del singolo paziente. In particolare, ad ogni riduzione dell’1% della colesterolemia LDL corrisponderebbe una riduzione dell’1% del rischio, senza che apparentemente esista una soglia definita sotto la quale questo effetto diminuisca. Sulla base di queste evidenze le principali linee guida internazionali che si occupano di prevenzione cardiovascolare (in primis quelle della European Society of Cardiology e dell’Adult Treatment Panel americano, nell’update pubblicato nel 2004) hanno indicato target molto ambiziosi di colesterolo LDL per impattare significativamente la prognosi dei pazienti ad alto rischio. Quindi, si assume che per pazienti ipercolesterolemici che non abbiano altri fattori di rischio sia sufficiente una colesterolemia LDL (c-LDL) inferiore a 160 mg/dL, per soggetti con più fattori di rischio un c-LDL inferiore a 130 mg/dL, per quelli ad alto rischio (pazienti in prevenzione secondaria o diabetici) un c-LDL inferiore a 100 mg/dL e per quelli ad altissimo rischio (pazienti in prevenzione secondaria o con lesioni ateromasiche fortemente instabili ed evolutive con eventuale comorbilità diabetica o con coagulopatie pro trombotiche) un c-LDL inferiore a 70 mg/dL.

Nonostante queste chiare indicazioni delle linee guida, al di là del purtroppo ampio numero di pazienti non trattati, attualmente più del 50% dei pazienti ad alto rischio trattati con terapia ipolipemizzante non è a target per la colesterolemia LDL ed è quindi esposto ad un alto rischio d’insorgenza (o recidiva) di eventi cardiovascolari. I motivi possono essere molteplici ed includono l’ampio utilizzo di statine poco potenti e/o impiegate a dosaggio non evidence-based (= non da trial), la scarsa aderenza e persistenza del paziente alla terapia cronica, ma anche alcuni aspetti fisiopatologici. In particolare le statine, che riducono efficacemente la sintesi epatica del colesterolo tramite l’inibizione diretta dell’enzima 3-idrossi-3-metil-glutaril Coenzima A reduttasi, indirettamente stimolano meccanismi di compenso che ne riducono l’efficacia ipocolesterolemizzante finale. Infatti, la riduzione della sintesi del colesterolo porta l’organismo a reagire inducendo l’assorbimento del colesterolo dietetico e biliare a livello intestinale, con conseguente rientro dello stesso a livello sistemico tramite il circolo entero-epatico. Lo stesso effetto, peraltro, si osserva in senso inverso quando si riduca eccessivamente l’apporto di colesterolo con la dieta (specie nei pazienti affetti da ipercolesterolemie familiari) e si blocchi il circolo entero-epatico: il fegato compensa la perdita di colesterolo a livello intestinale aumentando la neosintesi di colesterolo.

In questo contesto nasce il razionale della doppia inibizione intestinale ed epatica operata dall’associazione precostituita ezetimibe/simvastatina che, in numerosi studi clinici, ha dimostrato un’efficacia ipocolesterolemizzante maggiore rispetto al solo trattamento statinico. Inoltre, l’associazione ezetimibe/simvastatina ha anche un profilo di azioni interessanti su altri marcatori di rischio cardiovascolare come il livello plasmatico di apolipoproteina B (di per sé marcatore di LDL piccole e dense), di colesterolo non HDL e della proteina C-reattiva ad alta sensibilità. Le ultime novità circa l’associazione terapeutica ci derivano da recenti evidenze presentate nel corso dell’ultimo congresso dell’American Heart Association. Durante i lavori di questo prestigioso evento sono stati riportati dati di efficacia e tollerabilità di ezetimibe/simvastatina in 1.289 soggetti di età superiore a 65 anni e con c-LDL basale superiore a 130 mg/dL. Come potevamo attendere da dati precedentemente disponibili per il soggetto più giovane, sia l’efficacia che la tollerabilità sono stati ottimali, se confrontati con dosi crescenti di atorvastatina (Tabella 1).Tabella 1 Questo dato è importante nella pratica clinica. Infatti, se l’80% degli eventi cardiovascolari avviene proprio nei soggetti di età superiore ai 65 anni, questi sono i soggetti usualmente meno trattati con statine per timore di effetti collaterali (per malattie concomitanti o rallentato metabolismo dei farmaci) o di interazioni farmacologiche (nei soggetti politrattati). Lo studio dimostra chiaramente che, a parità di tollerabilità epatica e muscolare, l’associazione ezetimibe-simvastatina consente di raggiungere target terapeutici ambiziosi in una quota estremamente più elevata di pazienti rispetto a dosaggi convenzionali di atorvastatina. Un limite dello studio, peraltro riscontrabile nella maggior parte degli studi clinici pubblicati nella letteratura internazionale, potrebbe essere il considerare come cut-off patologico per il CPK un valore maggiore a 10 volte il limite superiore di norma, quando le linee guida nazionali suggeriscono l’interruzione di terapia per valori superiori di 5 volte (e nella pratica clinica – erroneamente – l’interruzione avviene per valori che raramente superano di 2 volte il limite superiore di norma). Tuttavia, i dati mostrano un numero di tali eventi così basso da non considerare questo limite così rilevante.

Sappiamo bene, tuttavia, che non possiamo basare le nostre scelte terapeutiche solo su dati di laboratorio e qualche supporto su outcome forti come morbilità e mortalità cardiovascolare è indispensabile per potere dare l’indirizzo giusto alla terapia più idonea ad ogni paziente. Lo studio SEAS (Simvastatin and Ezetimibe in Aortic Stenosis) ci aveva già mostrato (sotto forma di end-point secondario) che l’associazione ezetimibe/simvastatina è in grado di ridurre il rischio relativo di eventi ischemici in soggetti con stenosi della valvola aortica da lieve a moderata. Tuttavia, il risultato indicato dallo studio (-22%) è stato inferiore a quanto ci saremmo potuti aspettare rispetto alla riduzione della colesterolemia LDL inducibile col trattamento testato. Gli autori del SEAS hanno quindi condotto una sottoanalisi, presentata all’ultimo congresso ISA (International Society of Atherosclerosis) e pubblicata sull’American Journal of Cardiology, riclassificando i pazienti in funzione del livello basale di velocità di eiezione trans aortica, per cercare di capire se il grado di stenosi aortica al basalFigura 1e potesse avere influito sull’efficacia preventiva dell’associazione. Il risultato è stato molto chiaro: nei pazienti con stenosi di grado più lieve e più moderato l’efficacia preventiva di ezetimibe-simvastatina è stata come attesa in funzione dell’efficacia ipocolesterolemizzante (Figura 1). Nei casi con stenosi aortica severa, già prima della lettura del trial, ci si sarebbe attesi una ridotta efficacia preventiva in funzione della gravità della patologia di base e delle sue complicanze che hanno coperto gli effetti potenzialmente benefici della riduzione della colesterolemia. In realtà la sottoanalisi dello studio SEAS ha mostrato un dato parzialmente inatteso che conferma ancora una volta il teorema colesterolo-centrico della prevenzione cardiovascolare. Infatti, nel sottogruppo di pazienti affetti da stenosi aortica più severa si è osservato anche un effetto quasi neutro dell’associazione sulle principali frazioni lipFigura 2idiche aterogene. Ricollocando quindi la riduzione del rischio cardiovascolare osservata nel SEAS per i vari sottogruppi di gravità della stenosi aortica sul celebre grafico metanalitico dei CTT, si può chiaramente osservare che questa è una chiara funzione della riduzione della colesterolemia LDL (Figura 2). In attesa dei dati dello studio IMPROVE-IT che ci fornirà la quantificazione definitiva dell’efficacia preventiva dell’associazione ezetimibe-simvastatina, i nuovi dati sopra elencati ci confortano per quanto riguarda il profilo di sicurezza della molecola, sulla sua efficacia ipocolesterolemizzante, sulla sua sinergia con nuovi approcci terapeutici alla dislipidemia ed, infine, sulla capacità di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari.

Giacomo Susco

Cardiologo
Presidente ARCA Liguria