Fonte: European Review for Medical and Pharmacological Sciences 2014, epub. Interessante lavoro pubblicato dai ricercatori coordinati da Desideri G dell’Università dell’Aquila in cui, partendo dal presupposto che l’attuale range di riferimento dell’uricemia è stato determinato in accordo alle sue variazioni nei soggetti normali (3.5 e 7.2 mg/dL nei soggetti adulti di sesso maschile e nelle donne in postmenopausa e tra 2.6 e 6.0 mg/ dL nelle donne in premenopausa), la definizione del range di normalità dell’uricemia nella popolazione generale è inevitabilmente influenzata da ciò che noi consideriamo come “normale”, dal momento che l’assenza di riacutizzazioni dell’artrite gottosa non implica necessariamente l’assenza di danno correlato all’acido urico. In effetti, un crescente numero di evidenze indica che può avvenire una deposizione “silente” dei cristalli di urato conseguente all’iperuricemia, in grado di condurre ad alterazioni precoci dei tessuti articolari. Inoltre, un crescente numero di evidenze dimostra che l’acido urico può rivestire un ruolo fisiopatologico in molti disturbi di carattere “cardio-nefro-metabolico”, che sembra indipendente dal deposito dei cristalli di urato monosodico, in quanto risulta evidente anche per concentrazioni dell’acido urico sierico inferiori alla soglia di saturazione dell’urato monosodico. Presi nel loro insieme, questi dati suggeriscono con forza di riconsiderare il concetto di “asintomaticita” in riferimento all’iperuricemia cronica e di conseguenza di rivedere il range normale dei livelli di acido urico sierico. Alla luce delle nuove conoscenze scientifiche riguardanti il ruolo fisiopatologico dell’acido urico nelle malattie umane, un valore di soglia<6.0 mg/dL (<360μmol/L) identifica gli autentici “soggetti sani” e dovrebbe essere ragionevolmente preso in considerazione per tutti i soggetti.
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Comunque 6 mg/dL è un ottimo valore orientativo per iniziare un trattamento considerando anche che 6,8 mg/dL è il valore, ovviamente medio con un più ed un meno, ove l'acido urico precipita formando i cristalli.
Per ogni valore biologico il danno è progressivo e dipende dalla clinica più o meno a rischio; in particolare per l'acido urico ritengo che sia imperativo non tenerlo su valori vicini al 6,8 mg/dL che il valore, ovviamente medio con un più ed un meno, ove l'acido urico precipita formando i cristalli: qui hainizio il danno.
Multinational evidence-based reccomendations for the diagnosis and management of gout
Annals of the Rheumatic Diseases (Published 31-12-2013)
Reccomendation 10: asymptomatic hyperuricaemia
“Pharmacological treatment of asymptomatic hyperuricaemia is not recommended to prevent gouty arthitis, renal disease or CV events “
Linee guida Ministero della salute, Società Italiana Nefrologia: identificazione, prevenzione gestione nella malattia renale cronica dell’adulto (Data pubblicazione gennaio 2012 Data di aggiornamento gennaio 2015):
La riduzione farmacologica dell’iperuricemia……..diminuisce la morbilità e la mortalità degli adulti affetti da MRC con iperuricemia? ....Non sono disponibili prove sufficienti per raccomandare il trattamento dell’iperuricemia asintomatica in soggetti con MRC
Rispetto alla problematica sollevata, si è interessati a un preciso valore-soglia, oltrepassato il quale il beneficio di un trattamento si sia dimostrato superiore al rischio (e pertanto hanno valore solo i trials clinici).
Interessa quindi un valore-soglia che suggerisca la decisione di intraprendere o non intraprendere una terapia.
Non mi interessa molto sapere che uno studio osservazionale su 10000000 persone abbia dimostrato che l’innalzamento del rischio di complicanze cliniche associate alla iperuricemia inizia a manifestarsi - ad esempio - a 5 mg/dl o a 6 mg/dl di uricemia.
Non è che – in tal caso – si deve pensare automaticamente a iniziare a trattare tutti i pazienti con valori di uricemia > 5 o 6 mg/dl, perché nessuno ci garantisce che il beneficio (= riduzione delle complicanze cliniche associate alla iperuricemia) sia superiore al rischio (= eventi avversi collegati all’impiego di farmaci anti-iperuricemizzanti).
Cordialità
Si discute a tutti i livelli se trattare o meno la forma asintomatica, è vero, ma è anche vero che la deposizione tissutale (oltre i 6,8 mg/dL con una deviazione standard), anche se in assenza di situazioni gottose, specie a livello renale può aggravare lentamente condizioni di ridotta funzione per lesioni interstiziali.
L'ipertensione arteriosa è il più importante e acclarato fattore di rischio cardiovascolare.
L'insieme dei dati provenienti dagli studi osservazionali ci suggeriscono che un soggetto con PA pari a 120/80 mmHg presenta un rischio cardiovascolare maggiore rispetto a un soggetto con PA pari a 115/75 mmHg.
Potremmo dire che il primo soggetto è "iperteso" e ciò è - da un certo punto di vista - indubbiamente vero.
Però nessuno pensa di trattare farmacologicamente un soggetto con una PA = 120/80 mmHg.
Oggi si tratta solo quando è superato il valore-soglia di 140/90 mmHg.
Perché solo oltrepassato quel valore-soglia, il gioco vale la candela, cioè il rischio di incorrere in effetti collaterali è superato - anche se i dati non sono robustissimi - dagli attesi benefici associati alla farmacoterapia anti-ipertensiva.
Colesterolo 50....
PA. 100/60 e via cantando