Fonte: Int J Cardiol 2014;177:e56-e57. Quello presentato è un interessante caso clinico pubblicato sull’International Journal of Cardiology che riporta il caso di una paziente di 71 anni nota per cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva che si presenta in PS per dolore toracico con T negative nelle derivazioni precordiali. La paziente si presentava clinicamente in stato di shock, tachicardica con PAS 80 mmHg e con rantoli polmonari. L’ipotesi di una SCA veniva esclusa dalla coronarografia. Si rilevavano però severa insufficienza mitralica e “ballooning” apicale. L’iniziale trattamento con inotropi (doubutamina), NIV e contropulsatore si associava ad un peggioramento clinico che portava alla necessità di intubazione OT e alla somministrazione di noradrenalina, senza beneficio emodinamico. A seguito di dimostrazione mediante TEE di ostruzione dinamica del tratto di efflusso ventricolare sinistro indotta da ipercinesi dei segmenti basali con severo rigurgito mitralico causato da SAM si interrompeva il trattamento con inotropi e con contro pulsatore osservando un incremento dei valori pressori. La paziente veniva quindi trattata con esmololo e.v. in bolo (500 µg) seguito da infusione continua (50 mg/ora) : si osservava normalizzazione della frequenza cardiaca e miglioramento soggettivo. La terapia beta-bloccante veniva poi proseguita per os (metoprololo). Alla dimissione un ecocardiogramma transtoracico testimoniava normalizzazione della funzione cardiaca. Gli autori concludono la presentazione del caso sottolineando che in presenza di sindrome di Tako-Tsubo con ostruzione al tratto di efflusso sono da evitare nitroglicerina, diuretici e inotropi, che possono peggiorare l’ostruzione, e la contropulsazione, che riduce il postcarico. Benché il carico idrico possa essere di beneficio, esiste il pericolo che esso possa indurre edema polmonare. La letteratura esistente ha già mostrato come il trattamento beta bloccante possa essere di beneficio nella sindrome di Tako-Tsubo in assenza di scompenso cardiaco. Quello presentato è a giudizio degli autori la prima evidenza di un possibile beneficio anche nel contesto di shock cardiogeno.
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