RIFLETTORI SU Lp(a)

La lipoproteina (a): un fattore di rischio, troppo a lungo trascurato, sotto i riflettori dell’European Atherosclerosis Society.

3-2010-8-1La lipoproteina (a), nota con la sigla Lp(a), è un fattore di rischio per malattia cardiovascolare ben noto già nella letteratura di quasi 20 anni fa, anche se in tempi più recenti è stata riportata alla ribalta del grande pubblico da parte dei mass media come “il nuovo colesterolo cattivo”. La classe medica l’aveva persa di vista per qualche anno, poi ha cercato di recuperarla come fattore di rischio emergente ed, infine, ha ritrovato interesse a seguito della pubblicazione di qualche lavoro di buona qualità. Ma cosa è la lipoproteina (a)?
La Lp(a) è definibile come una LDL aberrante sintetizzata dal fegato che consiste in un’apolipoproteina B100 (il nucleo proteico della LDL) legata con legame covalente ad una coda glicoproteica di lunghezza variabile di struttura simile al plasminogeno e detta apolipoproteina (a). Sia il plasminogeno, precursore dell’enzima fibrinolitico plasmina, che la apo(a) consistono in una regione di serina-proteasi e di numerosi anelli a tripli ponti disulfidrici denominati kringles. Il legame del plasminogeno con la fibrina tramite i kringles 1 e 4 è necessario per compiere la fibrinolisi plasmina-mediata. L’apo(a) contiene una sola copia del kringle 5 simile al plasminogeno e numerose copie del kringle 4 che comprende, invece, regioni inattive simili al sito di legame della fibrina. Quindi la Lp(a) compete col plasminogeno per il legame con la fibrina inibendo, di conseguenza, la fibrinolisi. L’aggressività vascolare della Lp(a) consiste nel fatto di comportarsi da un lato come una LDL difficilmente modificabile con la terapia medica standard e dall’altro di avere un’azione pro-trombotica per antagonismo funzionale col plasminogeno vero. Un’altra causa di pericolosità legata alla Lp(a) è il fatto di simulare ipercolesterolemie non statino-sensibili che portano il paziente (e spesso anche il suo Medico) ad interrompere la terapia per riscontro di una mancata efficacia nella riduzione della colesterolemia LDL (specie se calcolata con la formula di Friedewald e non dosata con metodo diretto). Una recente metanalisi di 36 studi prospettici che hanno coinvolto 126.634 soggetti in prevenzione primaria per un totale di 1,43 milioni di anni/uomo di follow-up, 22.076 primi eventi fatali e non (fra i quali 9.336 cardiopatie ischemiche, 1.903 stroke ischemici, 338 stroke emorragici) ha chiaramente quantificato il rischio cardiovascolare associato ad alti livelli di Lp(a) (Figura 1). Il rischio cardiovascolare associato ad alti livelli di Lp(a) è tipicamente di tipo esponenziale; per questo, a livelli intermedio-alti di Lp(a), il rischio non aumenta di molto rispetto a valori bassi, mentre per valori alti impenna drasticamente. Infatti, correggendo il rischio per età, sesso, livelli dei lipidi ed altri fattori di rischio convenzionali, avere valori particolarmente elevati di Lp(a) è associato ad un aumento del rischio relativo di 1.13 (95% CI, 1.09-1.18) per quanto riguarda la patologia coronarica e di 1.10 (95% CI, 1.02-1.18) per quanto riguarda lo stroke ischemico. Gli autori della metanalisi hanno concluso che questo rischio aggiuntivo non fosse particolarmente rilevante, ma il giudizio sembra un po’ affrettato, dato che nello studio hanno considerato solo soggetti in prevenzione primaria ed il rischio è stato aggiustato per tutti i principali fattori convenzionali (età, sesso, pressione arteriosa, fumo di sigaretta, diabete, dislipidemia, etc.).
3-2010-8-2Da considerare, inoltre, che la sopracitata metanalisi non considera il fatto che i livelli elevati di Lp(a) sono anche maggiormente associati ad altre patologie vascolari maggiori come l’arteriopatia obliterante periferica e l’aneurisma dell’aorta addominale, oltre che alla cardiopatia ischemica ed allo stroke.
Infatti, se andiamo a valutare cosa succede quando si studia l’effetto dell’iperlipoproteinemia (a) in pazienti in prevenzione secondaria, particolarmente gravi come i soggetti affetti da arteriopatia obliterante periferica, si osserva come coloro che presentano Lp(a) elevata (>30 mg/dL) hanno mortalità totale significativamente più elevata rispetto ai pazienti con Lp(a) inferiore e questa differenza si accentua confrontando pazienti diabetici e non (Figura 2).
Peraltro, è anche importante notare come i livelli plasmatici di Lp(a) (ma non quelli della sola apolipoproteina (a) a basso peso molecolare) siano associati ad un ulteriore aumento del rischio cardiovascolare e di declino della funzionalità renale in pazienti già affetti da insufficienza renale cronica (e quindi di per sé ad altissimo rischio) (Figura 3). I livelli di Lp(a) nel sangue sono prevalentemente determinati da fattori genetici. Rispetto ai caucasici, gli asiatici hanno mediamente livelli circolanti di Lp(a) più bassi, mentre i neri più alti. Le principali cause note di aumento secondario dei livelli di Lp(a) sono l’invecchiamento, l’ipofunzione tiroidea, la sindrome nefrosica, alcune patologie autoimmunitarie sistemiche ed il crollo della stimolazione estrogenica nel post-menopausa. Oltretutto, queste situazioni sono di per sé associate ad un aumentato rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare. 3-2010-8-3D’altra parte, la Lp(a) è tipicamente dieto-resistente, è leggermente ridotta da un’attività fisica adeguata e, farmacologicamente, risponde in modo importante solo alla terapia ormonale sostitutiva nella donna in post-menopausa o, in entrambi i sessi, all’acido nicotinico. Alla luce di tutti i dati sopra riportati, la Società Europea dell’Aterosclerosi ha richiamato l’attenzione dei colleghi coinvolti nell’inquadramento e nella gestione del rischio cardiovascolare dei pazienti, suggerendo di dosare sistematicamente la lipoproteina (a) e di trattarla farmacologicamente con acido nicotinico quando riscontrata a valori superiori a 50 mg/dL. In effetti, l’indicazione al dosaggio della Lp(a) è da anni presente in diversi documenti firmati dalla Società Italiana Studi Aterosclerosi, anche se usualmente limitata a soggetti dislipidemici apparentemente resistenti a terapia convenzionale standard e a soggetti con storia personale o familiare per eventi cardiovascolari gravi e/o precoci in presenza di un assetto lipidico convenzionale apparentemente non così grave da giustificare il quadro osservato. La scelta della terapia con acido nicotinico si posa su alcuni principi base: 1) Né gli inibitori della idrossi-metil-glutaril Coenzima A reduttasi (le statine), né gli attivatori dei PPAR alfa (i fibrati), né gli inibitori dell’assorbimento intestinale del colesterolo (resine a scambio ionico, ezetimibe) influiscono sui livelli plasmatici di Lp(a); 2) Alcune molecole della classe dei tiazolidinedioni e dei sartani sono associate, nei trattamenti a lungo termine, ad una modesta riduzione dei livelli plasmatici di Lp(a), ma non tale da giustificarne un utilizzo con la finalità di normalizzare i suddetti livelli; 3) Alcuni studi suggeriscono che la carnitina possa modulare i livelli plasmatici di Lp(a), ma sono esperienze di breve durata e l’effetto è comunque non particolarmente rilevante; 4) L’acido nicotinico è l’unico farmaco ipolipemizzante che, se utilizzato a dosaggi adeguati, è in grado di ridurre di circa il 20% i livelli plasmatici di Lp(a) ed il cui utilizzo sia stato associato a riduzione del rischio cardiovascolare, anche se non direttamente correlato all’effetto sulla Lp(a).

Arrigo F.G. Cicero
Centro per lo Studio delle Malattie dismetaboliche e dell’Aterosclerosi
Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche
Università degli Studi di Bologna