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IL RAPPORTO ApoB/ApoAI COME DETERMINANTE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE |
Apolipoproteine poche conosciute e poco impiegate nella valutazione “fine” del rapporto LDL/HDL, anche quando i trigliceridi sono alti e la classica formula di Friedewald non può calcolare il C-LDL.La crescita culturale sull’associazione fra colesterolo e rischio cardiovascolare è stata costellata da diverse tappe. All’inizio si parlava solo di colesterolo totale, poi si è puntata l’attenzione sul colesterolo HDL e quindi sul loro rapporto, come predittori indipendenti del rischio di eventi. In seguito, data la difficoltà di aumentare farmacologicamente l’HDL (in epoche in cui l’acido nicotinico era disponibile solo in forme a rapido rilascio e senza inibitori del flushing), si è puntata l’attenzione sul colesterolo LDL calcolato con la celebre formula di Friedewald, che di per sé include il colesterolo ed una stima (seppur approssimativa) delle frazioni lipidiche intermedie. Dopo di che, con sorte alterna, si è cercato di introdurre il concetto di colesterolo non-HDL il cui relativamente scarso successo è forse dovuto al fatto di attribuire un rischio ad un “non qualcosa”. Infine, in tempi relativamente più recenti, è stata riconcentrata l’attenzione sui trasportatori dei lipidi plasmatici, le apolipoproteine. Le lipoproteine sono complessi macromolecolari non-covalenti di lipidi e proteine, coinvolte nel trasporto di lipidi attraverso i fluidi corporei intra ed extravasali. Esistono 13 apolipoproteine (Apo) (Tabella 1), di cui quelle più importanti dal punto di vista diagnostico sono le Apo A1 (28 kd) e le Apo B100 (513 kd). Le Apo A sono presenti nelle HDL, nelle quali la parte proteica prevale su quella lipidica. La maggior componente proteica delle HDL è l’Apo AI, che rappresenta più del 70% del contenuto totale di proteine. Il numero di ApoAI per molecola di HDL è variabile, ma il livello plasmatico (usualmente superiore a 120 mg/dL) è in genere proporzionale alla colesterolemia HDL. Le Apo B100, invece, sono prevalenti nelle LDL, lipoproteine a bassa densità e nelle VLDL lipoproteine a bassissima densità entrambi i tipi particolarmente ricchi in lipidi (le ApoB48, più piccole, sono presenti solo nei chilomicroni e rappresentano ottimi marcatori della fase post-prandiale del metabolismo lipidico, ma non sono dosate di routine). Le ApoB sono macromolecole, quindi per ogni LDL vi è una sola ApoB. Da un punto di vista diagnostico questo dato è fondamentale perché consente la stima del numero di molecole di LDL e quindi la concentrazione di LDL piccole e dense più aterogene con un calcolo molto semplice: se il rapporto LDL/apoB è a favore dell’apoB vi saranno molte LDL piccole, se il contrario “poche” LDL di grandi dimensioni (e quindi meno aterogene). Le ApoB hanno diverse funzioni essenziali: da un lato, essendo idrofile, facilitano il trasporto del colesterolo nel sangue, dall’altro legandosi al recettore epatico per le LDL ne facilitano lo smaltimento. Usualmente nel plasma hanno una concentrazione inferiore a 130 mg/dL.1 In tempi recenti diversi ampi studi epidemiologici hanno attribuito al rapporto ApoB/ApoAI un ruolo fondamentale come predittore indipendente di rischio cardiovascolare. Il rapporto ApoB/ApoAI rappresenta in realtà un modo “fine” per esprimere il classico rapporto LDL/HDL ma, almeno concettualmente, con qualche valenza in più. In primis è applicabile anche quando i trigliceridi siano elevati (e quindi quando il colesterolo LDL non è calcolabile con la formula di Friedewald) ed, in seconda battuta (come sopra detto), fornisce anche una stima della quota di LDL piccole e dense. Ma il rapporto ApoB/ApoAI potrebbe essere anche un marcatore specifico di sindrome metabolica, essendo direttamente associato al grado di insulino-resistenza (Figura 1) che inversamente all’adiponectinemia.2 Infatti, il rapporto ApoB/ApoAI è direttamente correlato alla quantità di tessuto adiposo viscerale (notoriamente associato ad un aumento del rischio di malattia cardiovascolare) ma non a quella di tessuto sottocutaneo.3 La relazione fra rapporto ApoB/ApoAI è associata ad una maggior prevalenza di componenti della sindrome metabolica anche nei bambini.4 Recenti dati italiani confermano queste ipotesi di lavoro, dimostrando come in un’ampia casistica di soggetti normotolleranti al test da carico di glucosio il rapporto ApoB/ApoAI sia associato ad un pattern lipidico più aggressivo rispetto al solo colesterolo LDL.5 Per valutare l’utilità clinica del rapporto ApoB/ApoAI è necessario quanto questo sia un predittore o meno di rischio di danno d’organo e di eventi cardiovascolari, o loro recidiva, in diversi setting. Il rapporto ApoB/ApoAI risulta essere un ottimo predittore di evoluzione di danno d’organo. Nell’ambito di uno studio di popolazione svedese, l’AIR6, si è valutata l’evoluzione dell’ispessimento dell’intima-media carotidea in una casistica selezionata di uomini adulti sani monitorati per quasi 9 anni: il principale predittore dell’incremento dell’IMT, dopo aggiustamento per i principali fattori di rischio, è stato il rapporto ApoB/ApoAI (Figura 2). Nell’amplissimo studio caso-controllo INTERHEART, condotto in 52 paesi ed includente 15.152 casi e 14.820 controlli, il rapporto ApoB/ApoAI è risultato il singolo fattore di rischio modificabile maggiormente associato ad infarto del miocardio con un odds ratio di 3,25 (giusto a titolo comparativo quello del diabete era 2,37).7 Nell’AMORIS, ampio studio prospettico basato sui dati del registro degli ospedali di Stoccolma, il rapporto ApoB/ApoAI è il più potente marcatore lipidico del rischio di eventi cardiovascolari, superato fra gli altri solo da un indice complesso di infiammazione sistemica.8 Tale predittività, peraltro, sembra mantenersi anche in etnie diverse da quella caucasica9 ed in soggetti in prevenzione secondaria per eventi coronarici.10 Dai dati cumulativi tratti dai 10.001 pazienti coronaropatici arruolati nel trial TNT (Treating to New Targets) e dagli 8.888 arruolati nell’ IDEAL (IncrementalDecrease in End Pointsthrough AggressiveLipidLowering) si evince come il rapporto ApoB/ApoAI in corso di trattamento costituisca il singolo determinante lipidico col maggiore potere predittivo della prognosi cardiovascolare dei pazienti.11 Un risultato simile si è osservato nei pazienti arruolati nel CARDS (Collaborative Atorvastatin Diabetes Study).12 Tuttavia, al miglioramento del rapporto ApoB/ApoAI coincide un miglioramento dell’outcome clinico? Questo è uno dei problemi principali da valutare quando ci si trova di fronte ad un fattore di rischio farmacologicamente modificabile. Purtroppo numerosi trial con statine non hanno sistematicamente analizzato il rapporto fra variazione delle concentrazioni plasmatiche di apolipoproteine e prevenzione di eventi. Tuttavia, alcuni trial hanno fornito risultati fortemente suggestivi dell’ipotesi che il miglioramento del rapporto ApoB/ApoAI possa essere associato ad un miglioramento prognostico dei pazienti trattati. Per esempio, un recente studio condotto con ecografia intravascolare mostra come in pazienti affetti da coronaropatia ischemica e trattati con statina, il grado di regressione dell’ateroma sia nettamente correlata alla riduzione del rapporto ApoB/ApoAI (Figura 3).13 Per quanto statisticamente significativi, piccole differenze di efficacia fra molecole della stessa classe probabilmente non sono sufficienti per cambiare in modo importante la prognosi dei pazienti ad alto rischio, come ad esempio i coronaropatici arruolati nello studio CENTAURUS.14 In questo contesto si può ipotizzare come trattamenti più completi che prendano in considerazione l’intero pattern lipidico, specie se con una marcata azione anche sulla colesterolemia HDL e, di conseguenza, sul rapporto ApoB/ApoAI potrebbero avere un’influenza importante sul rischio cardiovascolare dei pazienti dislipidemici. Fra le associazioni testate con la maggiore efficacia sul rapporto ApoB/ApoAI vi sono quella statina-fibrato e, ancora di più quella statina-acido nicotinico. Infatti, confrontando l’efficacia di una statina potente a dosaggio pieno (atorvastatina 40 mg) con quella di una di potenza intermedia associata ad acido nicotinico a lento rilascio (simvastatina 40 mg + acido nicotinico 2.000 mg) si osserva come il secondo approccio migliori significativamente di più sia i livelli sierici sia di apoB che di apoAI e del loro rapporto (Figura 4).15 In conclusione, il rapporto ApoB/ApoAI ha forti valenze predittive nei confronti della patologia cardiovascolare, e potrebbe rappresentare un’importante target terapeutico per la terapia ipolipemizzante di associazione.
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Grazie
Io penso che la verità è sempre semplice.
Qui purtroppo è tutto molto complicato.