Già dai primi impianti di pacemaker biventricolare, l’interesse e la curiosità scientifica, destati dai brillanti risultati in termini di netto miglioramento dei sintomi e dei segni di congestione cardiaca, spinsero Università ed Industria ad investire risorse umane ed economiche nella messa a punto di una terapia che promettesse tanto in termini di miglioramento della qualità della vita, ma anche di sopravvivenza per la cura dei pazienti affetti da scompenso cardiaco. Il riscontro di dissincronia elettromeccanica tra i due ventricoli, all’interno dello stesso ventricolo sinistro ma anche tra atri e ventricoli, stimolò la ricerca di una terapia che potesse ristabilire quell’equilibrio perduto in termini di sincronia elettromeccanica per permettere alla pompa cuore di funzionare al meglio. La brillante intuizione di stimolare entrambi i ventricoli, con tempi di attivazione programmabili caso-caso, portò i suoi primi risultati. Nonostante la terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) abbia dimostrato un’elevata efficacia nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco, è stata documentata in letteratura una percentuale variabile dal 30 al 35% di pazienti “non-responder”. La mancata o sub-ottimale efficacia di tale terapia dipende sostanzialmente da due ordini di problemi: problemi clinici e problemi tecnologici. I primi sono legati alla selezione del...continua a leggere
ABSTRACT SEMPLIFICATO DEI CONTENUTI DI CARDIOLINK SCIENTIFIC NEWS
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