Da quando, nel 1866, l’angina pectoris veniva definita come una patologia rara, molto è cambiato: oggi in Italia i dati ISTAT ci dicono che, tra le cause dei 500.000 decessi l’anno, circa il 43% è di natura cardiovascolare, di cui poco meno della metà da attribuire all’infarto miocardico acuto ed alla cardiopatia ischemica cronica. Non meno rimarchevole è il dato riguardante la sopravvivenza ad un evento acuto: chi sopravvive ad un infarto miocardico diventa un ”invalido” cardiovascolare (4,4‰ della popolazione) inducendo considerevoli costi economici per la società (23,5% della spesa farmaceutica italiana; 1,34% del PIL) (Tabella 1). Il primum movens della cardiopatia ischemica cronica è riconducibile all’ischemia indotta da uno squilibrio tra l’offerta e la domanda di ossigeno del miocardio. A livello dei miocardiociti l’ischemia è associata ad un sovraccarico intracellulare di sodio. Fisiologicamente l’eccitazione elettrica (depolarizzazione), provoca l’ingresso rapido di sodio nella cellula cardiaca attraverso i canali di membrana del sodio. In condizioni normali tali canali si “aprono” per periodi molto brevi e, dopo l’apertura, rapidamente si...continua a leggere
ABSTRACT SEMPLIFICATO DEI CONTENUTI DI CARDIOLINK SCIENTIFIC NEWS
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