Risulta evidente che la società contemporanea induca uno stile di vita improntato all’efficienza permanente, alla performance ed ai ritmi sostenuti. Se da un lato l’effervescenza delle attività lavorative quotidiane potrebbe essere interpretata come uno stimolo a migliorare la qualità e quantità del lavoro, dall’altra risulta indubbiamente fonte di rischio qualora comporti un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Dal punto di vista farmacologico, pertanto, i farmaci antipertensivi che riducono anche la frequenza rappresentano il presidio terapeutico più indicato per il trattamento di pazienti ipertesi che svolgano attività professionali “a rischio”. In questo ambito, farmaci in grado di ridurre il numero di battiti per minuto sono i ß-bloccanti, i calcio-antagonisti non diidropiridinici, appartenenti cioè alla classe delle benzotiazepine e delle fenilalchilamine, gli anti-adrenergici ad azione centrale ed, in maniera trascurabile, gli antagonisti dei recettori imidazolinici centrali. Nell’uomo, l’effetto dei ß-bloccanti e dei calcio-antagonisti non diidropiridinici sulla pressione arteriosa è, approssimativamente, molto simile. I ß-bloccanti, tuttavia, riducono la frequenza cardiaca in misura lievemente...continua a leggere
ABSTRACT SEMPLIFICATO DEI CONTENUTI DI CARDIOLINK SCIENTIFIC NEWS
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