C’è un accordo generale fra le varie Società Scientifiche Internazionali secondo le quali l’ipertensione arteriosa viene definita resistente al trattamento quando uno schema terapeutico, che comprenda le modifiche dello stile di vita e la prescrizione di almeno 3 farmaci antiipertensivi - tra cui un diuretico a dosi piene - non riesce a ridurre la pressione arteriosa sistolica e diastolica al di sotto del valore raccomandato (1,2). L’ipertensione resistente, pertanto, non coincide con l’ipertensione non controllata, che ha una prevalenza intorno al 50% della popolazione ipertesa in trattamento antiipertensivo. Secondo una recente analisi dello studio NHANES, negli Stati Uniti il 12.8% dei pazienti ipertesi in trattamento antiipertensivo corrisponde alla definizione di ipertensione resistente (3). Tra i pazienti afferenti ad un ambulatorio specialistico per la cura dell’ipertensione arteriosa, la percentuale di pazienti resistenti sembra essere ancora più elevata, raggiungendo il 19,4% dei pazienti ipertesi trattati (4). Riconoscere questa condizione, che rappresenta una sorta di sfida per il medico, è di notevole importanza clinica, al fine di identificare un sottogruppo di pazienti a rischio cardiovascolare più elevato. Infatti, i pazienti con ipertensione arteriosa resistente sono solitamente anziani con ipertensione sistolica isolata, insufficienza...continua a leggere
ABSTRACT SEMPLIFICATO DEI CONTENUTI DI CARDIOLINK SCIENTIFIC NEWS
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