QUALE ACCESSO ALLE CURE?

L’equità di accesso alle cure sul territorio nazionale mostra punti deboli. Ivabradina come esempio di difformità di accesso alle terapie farmacologiche nelle Regioni italiane.

Siamo consapevoli che stiamo toccando temi delicati, non semplici da affrontare e spesso scomodi, ma noi di CardioLink crediamo fortemente che il confronto e la discussione aperta siano fonte di riflessione e di stimolo per migliorare. Questo articolo è il primo di una serie dedicata alle possibilità di accesso alle cure sul territorio Nazionale. Nei vari articoli verranno presi in esame l’equità di accesso alle cure farmacologiche, a quelle ospedaliere e quindi ambulatoriali sul territorio Nazionale. Il primo articolo è dedicato alle cure farmacologiche. La Carta Europea dei Diritti del Malato prevede, all’art. 2, che ogni individuo abbia “il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso ad ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio”. Sulla base di quanto enunciato, possiamo oggi dire che il sistema italiano fornisca tali garanzie a tutti i pazienti, italiani e non, che ricorrono al Servizio Sanitario Nazionale? Il nostro Sistema Sanitario può essere ancora definito come Nazionale? L’esperienza acquisita negli ultimi anni ci insegna che il federalismo ha in realtà accentuato le divergenze regionali sia in termini di gestione delle risorse disponibili che nella creazione dei modelli sanitari, a volte tra di loro opposti. Tuttavia, mentre l’accesso alle cure ospedaliere è garantito a tutti i cittadini, più o meno uniformemente sul territorio Nazionale, lo stesso non può esser detto per l’accesso alle terapie farmacologiche. Ovviamente per quanto riguarda l’accesso alle cure ospedaliere ed ambulatoriali ancora oggi si assiste a ritardi strutturali e qualitativi delle strutture ospedaliere meridionali di cui però il meridione stesso ed i suoi cittadini amministratori ne sono tra i colpevoli principali. Ma questo argomento verrà trattato in un articolo successivo di questa serie. Per quanto attiene l’accesso alle terapie farmacologiche, le difformità, che in passato erano orientate al governo del comportamento prescrittivo, sono aumentate esponenzialmente anche attraverso il maggiore impiego di strumenti di controllo della spesa sanitaria, quali l’utilizzo del ticket o di percorsi distributivi del farmaco, che in alcuni casi possono addirittura variare all’interno della stessa Regione. Tuttavia, se è vero che il governo regionale può controllare l’accesso e la qualità delle cure, lo stesso governo non dovrebbe avere autorità, come invece avviene in alcune realtà nazionali, sull’indicazione prescrittiva e sull’autorizzazione dei farmaci. Le uniche autorità con questi poteri sono l’European Medicine Agency (EMEA) per le autorizzazioni dei farmaci da immettere in commercio sul territorio Europeo e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per quanto riguarda nello specifico l’Italia. La commissione tecnico scientifica dell’AIFA valuta l’applicabilità a livello Nazionale delle autorizzazioni che pervengono da procedure valutate dall’EMEA. Una volta autorizzato alla immissione in commercio dall’AIFA, il farmaco è disponibile per l’uso clinico, secondo le indicazioni terapeutiche definite dall’EMEA e con le eventuali limitazioni poste dall’AIFA. Le Regioni non dovrebbero avere nessun potere locale di delibera sulle indicazioni cliniche e sulle modalità prescrittive dei farmaci immessi in commercio. Inoltre, poiché l’efficacia dei farmaci differisce anche all’interno della stessa classe farmacologica, le Regioni non dovrebbero avere neppure potere, in linea teorica, nel porre limitazioni volte all’uso preferenziale di alcune molecole rispetto ad altre appartenenti alla stessa classe farmacologica. Tuttavia, alcune Regioni esercitano in maniera pervicace una prerogativa a loro non consentita e competente per limitare l’uso di alcuni farmaci nell’illusione di risolvere così il problema del contenimento dei costi della spesa sanitaria. Dobbiamo ricordare che la spesa farmaceutica rappresenta il 12.5% della spesa sanitaria globale e che quindi sono altre le aree da dove le Regioni potrebbero trovare ispirazione per la riduzione della spesa sanitaria. Negli ultimi anni si è assistito al fiorire od al rifiorire di varie commissioni non solo regionali ma anche locali che presiedono alla validazione di altrettanti prontuari. Tali prontuari non vengono creati con l’obiettivo di migliorare le cure dei pazienti ma altresì hanno il solo intento di filtrare se non addirittura di limitare fortemente l’uso di alcuni farmaci, portando quindi ad una limitante frammentazione nella possibilità di utilizzazione, da parte del Medico, del farmaco più appropriato per il singolo paziente. A tal proposito, ci si pone il dubbio sulla reale necessità e capacità di approfondire, a livello Regionale, la documentazione autorizzativa sui farmaci già valutati da EMEA ed AIFA. Le commissioni locali non dovrebbero avere potere legislativo sull’indicazione terapeutica dei farmaci ed, inoltre, non si capisce quale sia il razionale sulla base del quale il livello tecnico-scientifico delle persone coinvolte nelle commissioni locali si presupponga superiore e tale da poter contro-argomentare, in termini tecnico-scientifici, le valutazioni dell’EMEA e dell’AIFA. L’approvazione da parte delle suddette Agenzie Regolatorie assicura che i farmaci autorizzati all’immissione in commercio abbiano un profilo di tollerabilità ed efficacia tali da essere impiegati per l’indicazione approvata. Tale approvazione, infatti, passa al vaglio di un gruppo di esperti Europei qualificati a livello internazionale, attraverso un processo che tiene in considerazione non solo l’efficacia ma anche e soprattutto la sicurezza del farmaco. Inoltre, l’approvazione centralizzata Europea tende sempre più a convergere, per quanto attiene alle indicazioni dei nuovi farmaci, con le linee guida delle Società Scientifiche. Questo è vero anche e soprattutto per i farmaci cardiovascolari, per i quali da tempo esiste una collaborazione tra EMEA e Società Europea di Cardiologia (ESC). Pertanto, una volta approvato dall’EMEA e dall’AIFA, non vi dovrebbe essere alcuna eccezione sul territorio che limiti o impedisca la disponibilità di un farmaco per il trattamento dei pazienti di tutto il territorio Nazionale. Eppure, basta andare in regioni come l’Emilia Romagna per trovare un chiaro esempio di come, per alcuni farmaci, tali valutazioni non siano sempre considerate sufficienti. La Regione Emilia Romagna, a dire il vero, può vantare, per quanto riguarda la Cardiologia, alcune delle migliori espressioni tecnico-scientifiche Nazionali ed Internazionali, peccato che questi Cardiologi che l’Europa ci invidia non vengano interpellati dalla commissione sanitaria regionale in caso di valutazione di farmaci cardiovascolari. Esempio recente di mancata uniformità prescrittiva sul territorio Nazionale è rappresentato da un provvedimento della Regione Emilia Romagna sull’utilizzo dell’ivabradina. Con tale provvedimento questa Regione ha identificato un piano terapeutico autonomo ponendosi al di sopra di qualsiasi autorità preposta, dall’EMEA all’AIFA, e probabilmente presupponendo conoscenze specifiche superiori a quelle degli esperti della Società Europea di Cardiologia dettando linee guida proprie per il trattamento dei pazienti con angina cronica stabile. Ricordiamo che l’ivabradina, autorizzata dall’EMEA nel 2005, è stata ammessa alla rimborsabilità in Italia (classe A) nel febbraio 2008 con l’obbligo della compilazione, in quanto farmaco innovativo, da parte dello specialista Cardiologo, di una scheda informatica che ha raccolto per più di un anno e mezzo informazioni cliniche e terapeutiche sulla popolazione affetta da angina stabile, con intolleranza o controindicazioni all’uso dei beta-bloccanti. Inoltre, lo scorso anno, in seguito ad importanti evidenze emerse dallo studio ASSOCIATE e dalla popolazione di pazienti sintomatici dello studio BEAUTIFUL, l’ivabradina ha ricevuto l’estensione di indicazione al trattamento dei pazienti con malattia coronarica da sola od in associazione con i beta-bloccanti. L’approvazione di questa nuova indicazione pone quindi l’ivabradina a farmaco di prima linea per il trattamento dei pazienti con malattia coronarica. A seguito della valutazione dei dati di sicurezza provenienti dal Registro AIFA il farmaco è soggetto da ottobre 2009 soltanto alla compilazione di un Piano Terapeutico cartaceo da parte dei Cardiologi ospedalieri e non. I dati raccolti del registro AIFA dimostrano come l’utilizzo dell’ivabradina differisca in alcune realtà regionali con la Regione Emilia Romagna che rappresenta il fanalino di coda nel suo uso a causa della limitazione già posta dalla Regione alla prescrizione di questo farmaco sin dalla sua prima immissione in commercio. Dati recenti hanno dimostrato come l’ivabradina riduca significativamente gli eventi cardiovascolari e le ospedalizzazioni per infarto del miocardio fatale e non nei pazienti sintomatici con malattia coronarica. Pertanto, tornando ai diritti del malato, possiamo oggi affermare che il paziente con malattia coronarica ha equamente accesso ad una molecola innovativa che ha un importante effetto anti-ischemico e che riduce gli eventi cardiovascolari in tutto il territorio Nazionale? Sicuramente questo non è vero per i pazienti che vivono in Emilia Romagna che, in questo caso, sono sicuramente privati della possibilità di accedere ad una cura farmacologica innovativa ed efficacie. Lo stesso si può affermare per i Cardiologi che lavorano in Emilia Romagna che non sono liberi di prescrivere un farmaco utile per il trattamento dei loro pazienti. Per comprendere le limitazioni prescrittive dei Colleghi emiliano-romagnoli è sufficiente parlare direttamente con loro per scoprire molte altre cose che non possono essere espresse in questa sede. Tuttavia, se la Regione Emilia Romagna rappresenta l’esempio limite deteriore, vi sono altre realtà regionali che hanno emanato provvedimenti espliciti di limitazione dei centri prescrittori o della tipologia di prescrittori (es. soltanto Cardiologie/Cardiologi). Alcune regioni, quali la Basilicata, la Campania, l’Emilia Romagna e la Val D’Aosta, hanno escluso dalla prescrizione del farmaco le strutture convenzionate esterne, sebbene ciò fosse consentito dal decreto autorizzativo dell’AIFA. Anche il rinnovo del piano terapeutico presenta delle peculiarità tutte regionali: in Sicilia, ad esempio, il paziente è obbligato a farselo rinnovare ogni tre mesi, laddove il decreto dell’AIFA prevede una conferma della terapia su base annuale. A volte le difformità di accesso possono variare addirittura da ASL ad ASL, soprattutto dal punto di vista distributivo in quanto alcune Regioni (es. Campania, Emilia Romagna, Liguria, Sicilia e Veneto) hanno privilegiato la distribuzione diretta per fini di risparmio economico, richiedendo al paziente di recarsi presso la farmacia ospedaliera di riferimento per ritirare il farmaco. Ciò contrasta con l’accesso prescrittivo dato al medico ospedaliero: ivabradina risulta ad oggi presente soltanto in 4 Prontuari Terapeutici Regionali su 16 esistenti, 14 dei quali vincolanti ai fini prescrittivi. Ci si chiede quindi come possa sposarsi la carenza di equità nell’erogazione dell’assistenza farmaceutica a livello dei vari sistemi sanitari regionali, con l’alienabile diritto di ogni individuo di accedere alle procedure innovative in linea con gli standard internazionali ed indipendentemente dalle condizioni economiche e/o finanziarie come previsto dalla Carta dei Diritti del Malato. Il farmaco, pur rientrando tra i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) è considerato oggi un bene amministrabile come gli altri senza considerare che il Medico, per perseguire i suoi obiettivi di cura, necessita da un lato del continuo adeguamento delle conoscenze e delle competenze al progresso clinico-scientifico e dall’altro di poter usufruire, nella pratica clinica, di tutti gli strumenti terapeutici esistenti indipendentemente dall’area geografica di appartenenza. Il nostro desiderio è che, nel pieno rispetto delle normative e del ruolo e del lavoro delle commissioni europee e nazionali, si trovi il modo di mettere fine ad una tale anarchia su base regionale che limita l’accesso a cure di comprovata efficacia clinica. Non riteniamo che questa difformità sia la massima espressione di quel federalismo che in moltissimi ambiti dell’amministrazione dello stato indubbiamente può portare vantaggi enormi ma che in questo caso viene strumentalizzato rischiando di prendere connotazioni negative agli occhi degli addetti ai lavori e dei pazienti. Ci rivolgiamo ai Medici Specialisti delle Regioni penalizzate dai provvedimenti regionali per porre una riflessione profonda sul loro ruolo e sulla libertà di scelta che impone l’essere Medico nell’interesse della scienza e dei pazienti, come garanti delle migliori cure. Ci rivolgiamo ai pazienti cardiopatici per chiedere perché continuano ad accettare che scelte miopi da parte delle loro Regioni li escludano da cure efficaci. Speriamo che questo articolo possa essere utile a risvegliare le coscienze di tutti gli operatori e dei pazienti affinché si possa avere una uniformità di accesso alle cure cardiologiche su tutto il territorio nazionale.

Nino Lo Pacio

Nel prossimo articolo della serie sarà trattato l’argomento relativo alla similarità di farmaci della stessa classe farmacologica ed all’obbligo da parte di alcune Regioni/ASL alla prescrizione preferenziale di alcune molecole.

 
BIAGIO INSACCO
in Sicilia c'è una anomala giunta di governo assemblatasi solo a scopo lottizzatorio e che comprende parti di totti i partiti: tutti sono però concordi nel ridurre i presidi sanitari, rottamarei medici non schierati sostituendali con gente delle loro famiglie,ed accrescere il reddito dei soliti.
Pensate voi che a tal fatta di personaggi interessi qualcosa dei farmaci innovativi e della salute della gente?
inserito il: 20-11-2010 15:25