Ivabradina riduce l’incidenza di morte cardiovascolare e ospedalizzazione negli scompensati già in trattamento farmacologico ottimale. Lo studio SHIFT.
Al Congresso della Società Europea di Cardiologia 2010 di Stoccolma, sono stati presentati i risultati dello studio SHIFT (Systolic Heart Failure Treatment with the If inhibitor Ivabradine Trial) il più grande studio di morbi-mortalità mai realizzato sullo scompenso cardiaco, in cui il nuovo farmaco anti-ischemico ivabradina ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di morte e ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Nello studio SHIFTsono stati inclusi 6.505 pazienti provenienti da 37 paesi del mondo, tutti affetti da insufficienza cardiaca, da moderata a grave, seguiti in media per 22 mesi. In particolare, il 67% dei pazienti presentava uno scompenso di natura ischemica, il 50% apparteneva alla classe NYHA II e l’altro 50% III-IV e tutti con disfunzione ventricolare sinistra (FE ≤35%). Ivabradina ha ridotto del 18% l’end-point primario composito morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco, con una significatività altissima (p< 0,0001) (Figura 1). Questo risultato, oltre che statisticamente significativo, è clinicamente molto rilevante, perché le curve Kaplan-Meier incominciano a divergere già dopo solo tre mesi di terapia con ivabradina e continuano ad allontanarsi nel tempo. Ivabradina ha, quindi, dimostrato benefici immediati e duraturi, in tutti i pazienti scompensati dello studio, indipendentemente dall’età, natura dello scompenso, terapia in atto e comorbilità (Figura 2). Ivabradina ha, inoltre, ridotto del 26% la mortalità per scompenso cardiaco e sempre del 26% l’ospedalizzazione per scompenso, tutti risultati altamente significativi (Figure 3 e 4). È importante sottolineare che ivabradina è stata aggiunta alla terapia farmacologica ottimale per lo scompenso come riportato dalle Linee Guida internazionali e, più precisamente, il 90% dei pazienti dello studio era già trattato con beta-bloccante, il 91% assumeva ACE-inibitore o sartano, l’84% un diuretico, il 60% un antagonista dell’aldosterone ed il 22% la digitale. Michel Komajda, Presidente della Società Europea di Cardiologia, ha così commentato i risultati di ivabradina nello studio SHIFT: “Vent’anni dopo gli ACE-inibitori e dieci anni dopo i beta-bloccanti, abbiamo un nuovo farmaco salvavita per i nostri pazienti scompensati”. Anche sotto il profilo della sicurezza d’impiego, ivabradina ha confermato uno straordinario profilo di tollerabilità. Infatti, nello studio SHIFT, gli episodi di bradicardia sintomatica sono stati solo del 5% e solo l’1% dell’intera popolazione dello studio ha sospeso il trattamento per la stessa bradicardia sintomatica. Il 70% dei pazienti assumeva ivabradina al massimo dosaggio, on top al beta-bloccante. Non va dimenticato che i risultati dello SHIFT nello scompenso cardiaco fanno seguito ai dati dello studio BEAUTIFUL (Morbidity-Mortality Evaluation of the If Inhibitor Ivabradine in Patients with Coronary Artery Disease and Left-Ventricular Dysfunction) nel quale ivabradina ha dimostrato importanti benefici in termini di miglioramento della prognosi in pazienti affetti da coronaropatia stabile. In particolare, nei coronaropatici sintomatici, ivabradina – in aggiunta ad una terapia convenzionale ottimale – ha ridotto del 24% l’incidenza di mortalità cardiovascolare, infarto e scompenso cardiaco e del 42% l’ospedalizzazione per infarto del miocardio fatale e non fatale. I benefici di ivabradina sono la conseguenza del suo meccanismo d’azione: è un potente anti-ischemico che migliora la riserva coronarica in quanto sotto sforzo riduce il consumo di ossigeno, attraverso la riduzione della frequenza cardiaca e aumenta l’apporto di ossigeno. Infatti, nei pazienti sotto sforzo, il farmaco preserva la vasodilatazione delle coronarie e aumenta la durata della diastole più dei beta-bloccanti. Per rendere concreto il concetto, ivabradina regala ogni giorno 2 ore e mezza di diastole in più assicurando, così, anche una potente azione anti-ischemica e anti-anginosa ed un aumento della capacità di esercizio fisico dei pazienti. Nella pratica clinica, questi vantaggi sono dimostrati in modo particolare in due recenti studi spontanei. Il primo, presentato all’America College 2010, ha confrontato l’efficacia sulla capacità funzionale in pazienti coronaropatici dell’associazione ivabradina-bisoprololo 5 mg/die verso la titolazione del bisoprololo a 10 mg/die. Lo studio ha dimostrato che ivabradina, in aggiunta a bisoprololo 5 mg/die, aumenta la capacità di esercizio fisico, valutata al test da sforzo, due volte di più rispetto alla titolazione del bisoprololo 10 mg/die, a parità di riduzione di frequenza cardiaca. Anche un secondo studio su 150 coronaropatici è stato presentato all’ultimo Europeo di Cardiologia di Stoccolma. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi trattati rispettivamente con carvedilolo 50 mg/die, ivabradina 7,5 mg/die e l’associazione carvedilolo 25 mg/die più ivabradina 5 mg/die. È stata confrontata la capacità funzionale dei pazienti, valutata al 6MIN walking test. Ivabradina da sola ha garantito un aumento della capacità funzionale più che doppio rispetto a carvedilolo al massimo dosaggio. I risultati dello studio SHIFT rappresentano un successo per tutta la comunità cardiologica e dimostrano il ruolo salvavita di ivabradina per poter migliorare la qualità di vita di tutti i pazienti coronaropatici, da quelli al primo episodio ischemico al paziente scompensato.
Nino Lo Pacio
|
Buon lavoro a tutti
Enrico maria Greco
L'osservazione da fare è di usare ivabradina intanto nelle situazioni cliniche analoghe allo studio SHIFT(si tratta di soggetti relativamente giovani maschi con FE 40% (che sono la maggioranza epidemiologica dei casi nella realtà clinica dei Registri Nazionale Europei ed Internazionali