MASSIMO RENDIMENTO

Nelle SCA: come non perdere a domicilio quanto guadagnato in fase acuta? Statine…istruzioni per l’uso.

3-2010-5-1Per Sindrome Coronarica Acuta (SCA) si intende generalmente l’angina instabile e l’infarto miocardico acuto (IMA), sia nella forma ST sopralivellato (STEMI) che nella forma non ST sopralivellato (NSTEMI). La rilevanza epidemiologica delle SCA è molto alta; stime, secondo alcuni restrittive, riguardanti la popolazione italiana, parlano di circa 2.500-3.000 nuovi casi all’anno per milione di abitanti e di circa 100.000-120.000 pazienti dimessi vivi ogni anno con diagnosi di SCA. Si tratta certamente di numeri rilevanti nonostante vi sia stata, negli ultimi 10 anni in particolare, una costante continua riduzione del tasso d’incidenza e di attacco di questa patologia.
Come evidenziato nella Figura 1 (Robert W Yeh et al, NEJM 10 giugno 2010) si può vedere come nella popolazione californiana, presa in considerazione la comparsa di eventi infartuali, in particolare STEMI, sia in continua diminuzione essendo passata da 274 casi per 100.000 persone/anno nel 1999 a 208 casi nel 2008, con una riduzione relativa tra il 1999 e il 2008 del 24%.
Anche la mortalità intraospedaliera è in riduzione continua con eclatanti risultati in recenti studi come il Blitz 4 ANMCO in cui si è registrata una mortalità intraospedaliera dell’1.8% per gli IMA NSTEMI e del 4% per gli IMA STEMI. Certamente si sta assistendo, anche nel nostro paese, ad una continua riduzione dei decessi intraospedalieri per SCA anche se, molto probabilmente, non possiamo considerare questi risultati come i valori medi della mortalità rilevata nelle UTIC italiane. Di conseguenza l’aspetto più rilevante del problema SCA si sta delocalizzando fuori della fase acuta, dopo la dimissione ospedaliera, nell’ambito della gestione del cardiopatico cronico. Dati dell’Istituto Superiore di Sanità, ricavati dall’analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera (Figura 2, F. Seccareccia et al) evidenziano in maniera molto preoccupante come vi sia, nei pazienti dimessi con diagnosi di SCA, una rilevante ripresa della mortalità già nei primissimi mesi dopo la dimissione.
A questo proposito, in questi ultimi anni, sono state pubblicate numerose messe a punto sulla terapia farmacologica e non farmacologica da utilizzare nel paziente dimesso dopo SCA, ma tutti i dati del mondo reale segnalano come queste Linee Guida siano disattese, in modo più o meno marcato, con percentuali di aderenza alla terapia farmacologica consigliata e ancor più agli stili di vita raccomandati molto basse e, nel tempo dopo l’evento acuto, in continua diminuzione. 3-2010-5-2Questa mancata aderenza, a quanto dovrebbe essere assunto o praticato, è verosimilmente la principale spiegazione di questa ripresa di mortalità.
Tra le terapie assolutamente mandatarie nel paziente con SCA vi è certamente la terapia con statine. Le attuali Linee Guida raccomandano, nei pazienti con SCA, una terapia aggressiva con statine già nella fase acuta intraospedaliera di SCA, indipendentemente dal livello basale del C-LDL. La terapia con statine diventa forse ancor più importante in fase post-acuta. Il paziente con pregressa SCA è di per sé ad alto rischio di progressione della malattia aterosclerotica e di recidiva di eventi ischemici e, come consigliato in maniera condivisa da tutte le Linee Guida internazionali, il target di C-LDL da raggiungere (obiettivo prioritario del controllo lipidico) deve sempre essere <100 mg/dl, meglio se <70-80 mg/dl. Questo obiettivo, il più delle volte, può essere raggiunto solo associando ad una adeguata dieta, pur molto importante, l’uso di una statina. Molte delle opzioni terapeutiche che vengono proposte nelle Linee Guida sono insostenibili nella pratica clinica quotidiana, data la tipologia dei nostri pazienti con pregressa SCA, spesso ricchi di anni e di comorbilità. È necessario utilizzare statine e posologie in grado di far raggiungere al paziente il target terapeutico che, molto spesso, è lontano decine di mg dal valore di C-LDL basale del paziente. Si rende quindi necessario, in gran parte dei casi, l’uso di statine ad alta potenza ed efficacia, in grado cioè di determinare una riduzione di C-LDL superiore al 40-50% del valore basale di partenza. La diversa efficacia delle varie statine nella riduzione dei livelli di C-LDL è stata dimostrata in particolare dallo studio STELLAR (Statin Therapies for Elevated Lipid Levels compared Across doses to Rosuvastatin), il più ampio trial randomizzato che ha confrontato direttamente l’efficacia delle varie statine nel loro intero intervallo posologico. La Figura 3 evidenzia graficamente come non tutte le statine e non tutte le posologie sono in grado di determinare quella percentuale di abbassamento del C-LDL basale del paziente che permette il raggiungimento del target terapeutico voluto.
3-2010-5-3Questa terapia ipolipemizzante deve essere continuativa nel tempo e nella posologia costituendo obiettivo prioritario il mantenimento del target terapeutico di C-LDL. Dalla Figura 3 risulta immediatamente evidente come, nella gran parte dei pazienti, con pregressa SCA (30-50% del totale dei pazienti), l’obiettivo terapeutico potrà essere raggiunto solo con l’uso di statine ad alta potenza ed efficacia (atorvastatina 40-80 mg, rosuvastatina 20-40 mg).
L’effettiva sostenibilità clinica, e quindi l’aderenza nel tempo alla terapia da parte del paziente, dipende anche e soprattutto dalla sicurezza e tollerabilità della statina utilizzata. Nello scegliere la statina da usare, si dovrà quindi tener conto in particolare dei possibili effetti collaterali, spesso dose dipendenti, e dell’efficacia della statina utilizzata nei confronti delle altre componenti lipidiche, in primis il colesterolo HDL. A questo riguardo i dati di letteratura disponibili ci dicono che rosuvastatina, tra le varie statine attualmente utilizzabili, è quella che più aumenta i livelli di C-HDL. Vanno anche tenute in considerazione, nella scelta della statina da usare, le possibili interazioni farmacologiche delle varie statine. Si tratta, infatti, di pazienti quasi sempre politrattati. Dato a favore di rosuvastatina è la non interferenza con l’isoforma CYP3 A4 del citocromo P450, responsabile della maggior parte delle interazioni dei farmaci di questa classe. Da ultimo, un aspetto gestionale e organizzativo.
La Cardiologia Riabilitativa può essere sicuramente utile nella gestione dei pazienti con recente SCA in quanto in grado di fare da ponte tra la Cardiologia per acuti e il Medico di Medicina Generale (MMG). Purtroppo i dati rilevati nella Survey ISYDE-2008, eseguita dal Gruppo Italiano di Cardiologia Riabilitativa (GICR-IACPR), mostrano come, dei circa 60.000 pazienti afferenti a programmi di Cardiologia Riabilitativa nel 2008, solo l’8.8% erano pazienti con SCA. Questo dato è confermato da quanto evidenziato in un Documento di Consenso regionale, coordinato da Furio Colivicchi e Massimo Uguccioni (Giornale Italiano di Cardiologia vol. 11 Suppl. 4 al n. 5, maggio 2010), doverisulta che, dei circa 9.000 pazienti che ogni anno nel Lazio vengono dimessi vivi dopo SCA, meno di 1.500 vengono inseriti in un programma strutturato di Cardiologia Riabilitativa. Solo un impegno condiviso e strutturato tra Cardiologi per acuti, Cardiologi riabilitatori e MMG potrà contribuire a rendere meno pesante questo importante problema di salute pubblica.

Giuseppe Favretto
Responsabile UO di Cardiologia Riabilitativa e Preventiva
Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione
Motta di Livenza (TV)
 
CARLO CIGLIA
E' questo l'orizzonte di principale applicazione della Cardiologia del futuro. Speriamo se ne accorgano i decisori pubblici. Molti pazienti e molti medici lo sanno già!
inserito il: 16-11-2010 23:05
 
 
ANDREA POZZATI
Usiamo le 2 statine ad alta efficacia per i paz post SCA!
inserito il: 19-11-2010 13:28