PREVENZIONE PRE-PRIMARIA

All’ESH 2010, lo studio ROADMAP ha dimostrato la capacità di olmesartan di prevenire la microalbuminuria in soggetti diabetici di tipo 2 a rischio cardiovascolare.

3-2010-9-1La microalbuminuria è stata riconosciuta come un importante fattore di rischio per malattia renale e cardiovascolare tanto in presenza quanto in assenza di diabete (Figura 1). In tale contesto, lo studio ROADMAP (Randomised Olmesartan and Diabetes Microalbuminuria Prevention) risulta essere il primo trial, a differenza di tutti gli altri studi sin qui eseguiti sulla nefropatia diabetica, concepito per valutare i benefici di un intervento terapeutico negli stadi precedenti la comparsa di disfunzione renale (quindi sul rischio di comparsa della stessa microalbuminuria) in pazienti con diabete di tipo 2 (livelli di emoglobina glicosilata ≥6.5%, in terapia ipoglicemizzante), con normoalbuminuria ed almeno un fattore di rischio cardiovascolare (Figura 2). L’end point primario dello studio era il tempo d’insorgenza di microalbuminuria (che sappiamo essere estremamente importante in questo setting di pazienti, essendo un marker precoce di malattia microvascolare e fortemente associato a possibili futuri eventi cardiovascolari).
L’obiettivo dello studio ROADMAP era, pertanto, quello di testare la possibilità di prevenire lo sviluppo di microalbuminuria con la somministrazione di olmesartan medoxomil. Proprio in relazione a questo studio, importanti notizie sono pervenute dalla splendida cornice di Oslo in cui si è svolta la XX edizione dell’European Meeting on Hypertension 2010. A tale riguardo, è stato riportato che il trattamento precoce con il bloccante del recettore AT1 per l’angiotensina II (ARB) olmesartan riduceva significativamente il rischio di sviluppare microalbuminuria in pazienti con diabete di tipo 2. I partecipanti erano randomizzati all’assunzione di olmesartan 40 mg/die (n=2.232) o placebo (n=2.215). In accordo con ciò, i dati dei risultati ad interim dello studio ROADMAP, presentati al congresso dell’ESH 2010, hanno indicato che il trattamento con olmesartan si associava ad un efficace controllo pressorio. Tutti i partecipanti potevano assumere altri farmaci non agenti sul sistema renina-angiotensina-aldosterone per un ottimale controllo tensivo e la pressione arteriosa sistolica e diastolica media dei partecipanti all’inizio dell’arruolamento era di 136/81 mmHg.
Dopo un follow up medio di 3.2 anni, si osservava una riduzione significativa del 23% nell’insorgenza di microalbuminuria (p=0.0104) nel gruppo olmesartan. Nello specifico, dopo trattamento, il 78.2% dei pazienti nel gruppo olmesartan vs 71.3% nel gruppo placebo raggiungeva il target pressorio <130/80 mmHg. L’effetto nefroprotettivo, inoltre, risultava essere pressione-indipendente. Tuttavia, la valutazione del rischio composito di morbilità e mortalità cardiovascolari era del 4.3% nel gruppo olmesartan rispetto al 4,2% nel gruppo placebo (HR, 1.00; p=0.99). Gli eventi cardiovascolari fatali erano rari, ma occorrevano più frequentemente nel gruppo olmesartan (n=15) rispetto al gruppo placebo (n=3; HR, 4.94; p=0.01). In concomitanza con il Congresso ESH, l’FDA americana ha deciso di avviare una revisione sulla safety dell’olmesartan dopo il verificarsi di un eccesso di mortalità in due studi di fase tre che hanno visto il farmaco protagonista: l’ORIENT (Olmesartan Reducing Incidence of End Stage Renal Disease in Diabetic Nephropathy Trial) ed appunto il ROADMAP. Tutto questo, ovviamente, ha generato nel corso del convegno un fervente dibattito da parte dei più importanti esperti di ipertensione a livello mondiale. In particolare, nello studio ROADMAP era evidente come l’aumentata quota di mortalità nel gruppo olmesartan era anche associata ad una maggiore espressione di ipotensione ed i decessi riguardavano pazienti con precedenti eventi cardiovascolari nel quartile in cui la pressione arteriosa sistolica risultava inferiore a 120 mmHg. In tal senso, la stessa rivisitazione delle Linee Guida ESH/ESC 2007, da parte di una Task Force della Società Europea dell’ipertensione arteriosa, ha riportato suggerimenti di cautela rispetto al precedente eccessivo entusiasmo rivolto alla riduzione aggressiva della pressione arteriosa. Analisi post-hoc dei risultati di studi eseguiti in pazienti ad elevato rischio cardiovascolare, infatti, hanno sollevato il dubbio che l’uso di regimi antiipertensivi aggressivi, che riducano la pressione arteriosa sistolica a valori vicini o inferiori a 120-125 mmHg e diastolica inferiore a 70-75 mmHg, possa accompagnarsi ad un aumento (piuttosto che un’ulteriore riduzione) dell’incidenza di eventi coronarici, in accordo con il fenomeno descritto come curva J. La riduzione eccessiva della pressione arteriosa potrebbe favorire un fenomeno di ipoperfusione degli organi vitali e quindi rendere ragione di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari. L’FDA indica che i benefici dell’olmesartan in pazienti con pressione arteriosa elevata continuano a superare i rischi potenziali. A nostro avviso, d’altra parte, è molto verosimile che, nella “vita reale”, la prescrizione di dosi personalizzate di olmesartan, al di fuori cioè dei rigidi schematismi di un trial, esiti nella persistenza del beneficio renale e, quindi, extrarenale che consegue all’inibizione del recettore di tipo 1 per l’angiotensina II. 3-2010-9-2Ciò in assenza, tuttavia, di quei fenomeni ipotensivi che possono conseguire all’uso di dosaggi elevati di ARB, il cui uso è auspicabile in molti pazienti, ma non certo in quelli resi “fragili” da una pre-esistente cardiopatia su base ischemica con relativa ipotensione. Pertanto, riteniamo che uno studio come il ROADMAP sia fondamentale nel ricordarci come sia sempre necessario, per il clinico accorto, saper interpretare i trial clinici al di là dei pur fondamentali dati numerici, estrapolando da quello studio, nel particolare, il dato relativo alla prevenzione “pre-primaria” del danno renale e, da qui, all’espansione della prevenzione del danno d’organo a tutto l’apparato cardiovascolare. Successivi studi dovranno chiarire i dubbi concernenti tali evidenze. La prosecuzione di un follow-up osservazionale dello studio ROADMAP e l’ulteriore analisi dei dati sin qui riportati potrebbero favorire la conoscenza dei possibili benefici a lungo termine della prevenzione della microalbuminuria in pazienti con diabete di tipo 2.

Davide Grassi
Università dell’Aquila
Dipartimento di Medicina Interna e Sanità Pubblica
 
FILIPPO DELRIO
UTILE L'OLMESARTAN
inserito il: 30-10-2010 11:31
 
 
VINCENZO IMMORDINO
certo è importante ridurre la comparsa di proteinuria, ma non scordiamoci gli end-point hard, ovvero gli eventi CV!!!
inserito il: 30-10-2010 18:21
 
 
GIUSEPPE CUDEMO
già altri studi avevano messo in evidenza che l'ipotensione indotta farmacologicamente da altri antipertensivi fosse correlata con maggiore percentuale di eventi cardiovascolari maggiori per cui non vedo la preoccupazione vs l'olmesartan, preoccupazione che dovremmo porre in tutte le ns terapie antipertensive. Ottimo invece il risultato sulla prevenzione del danno renale in prevenzione primaria
inserito il: 17-11-2010 13:32