L’ASIA C’E’!!

Al World Congress of Cardiology 2010 di Pechino la Cardiologia asiatica mostra di essere al passo coi tempi.

3-2010-10-1Dopo Rossi c’è (mitico urlo di Guido Meda quando vince il nostro altrettanto mitico Valentino Rossi), l’Asia c’è!!! Infatti, si è aperto Mercoledi 16 Giugno scorso il Congresso Mondiale di Cardiologia 2010, nella splendida sede del China National Convention Centre di Pechino, con una cornice davvero suggestiva (il bellissimo stadio olimpico sorto per le ultime olimpiadi del 2008, detto il Bird’s Nest). Circa 10.000 Cardiologi, provenienti da oltre 30 paesi, con una folta rappresentanza asiatica, si sono dati appuntamento a questo evento mondiale. Forse non tantissime le novità presentate, ma certamente una ottima messa a punto di un anno pieno di controversie anche importanti che hanno coinvolto sia la Cardiologia clinica che la Cardiologia preventiva. A sfogliare il copiosissimo programma non c’era che l’imbarazzo della scelta.
In tema di prevenzione e corretto assessment del paziente con patologia cardiovascolare l’intervento più suggestivo ed atteso è stato quello di Paul Ridker (Harvard Medical School, Boston, MA USA). Durante la sua presentazione Ridker ha sottolineato il valore dell’assetto infiammatorio per il giusto assessment del rischio cardiovascolare portando dati ed evidenze di come la PCR ad elevata sensibilità sia da considerarsi un fattore di rischio indipendente di sviluppo di patologia cardiovascolare al pari, se non di più, di ipertensione ed ipercolesterolemia (Figura 1). Ridker ha poi ribadito la necessità di adottare nuovi sistemi di classificazione per la stratificazione del rischio come il Reynolds Risk Score, che prendano in considerazione anche l’assetto infiammatorio e la familiarità per patologie cardiache. L’intervento si è poi chiuso con una bella provocazione inerente alla terapia con statine ad elevate dosi come di una perfetta “polypill”, ribadendo che le attuali evidenze indicano che la terapia con alte dosi di statine hanno una comprovata efficacia terapeutica (50% di riduzione degli eventi CV) senza rischi emorragici aggiuntivi o quadri ipotensivi, al contrario della prima polypill proposta da Salim Yusuf. A supportare il concetto della Polypill, sono saliti sul palco Colleghi del calibro di Valentin Furster, con forti razionali per l’uso sia in prevenzione primaria che, soprattutto, in prevenzione secondaria. I punti di forza a sostegno di tale strategia terapeutica (racchiudere all’interno della stessa compressa più principi attivi che vadano ad agire su più fronti: antiaggregante, ipocolesterolemzzante, ipotensivante, protezione miocardica ecc.) sono stati diversi. Oltre alla ovvia miglior compliance terapeutica da parte dei pazienti (cosa già di per se non irrilevante e trascurabile!), la polypill non ha bisogno di grandi trial (i singoli componenti ne hanno già a bizzeffe), costa complessivamente molto meno ed è soprattutto richiesta dalle comunità. Sono in corso numerosi studi a supporto di una tale strategia terapeutica per cercare in tal modo di convincere anche gli organi deputati al controllo del farmaco (era presente anche la Professoressa Angeles Alonso Garcia, esponente dell’EMEA) che appaiono però ancora titubanti. Sempre correlato all’assetto infiammatorio si è affrontato una main session dedicata allo stress ossidativo, argomento emergente in Cardiologia. Di particolare interesse l’intervento del Prof. Tomasz Guzik, dell’Università di Cracovia, che ha affrontato il tema delicato di come limitare lo stress ossidativo nei pazienti diabetici. In pratica, Guzik ha sottolineato come la condizione diabetica (iperglicemia, iperinsulinemia ed altri fattori) alteri, mediante la Protein Kinasi C, l’attività della NAD(P)H ossidasi, principale sorgente di superossido nelle cellule vascolari, aumentando lo stress ossidativo a livello vascolare e determinando in tal modo una importante disfunzione endoteliale. Al processo di formazione, anche se per vie differenti prenderebbe parte anche la xantina ossidasi. Durante l’esposizione è stata sottolineata l’importanza degli inibitori della HMG-CoA reduttasi (statine) e dei farmaci agenti sul Sistema Renina Angiotensina (ACE-inibitori ed Inibitori periferici dell’angiotensina II) nell’inibire la NAD(P)H ossidasi, diminuendo in tal modo lo stress ossidativo e conseguentemente la disfunzione endoteliale. Si è ricordato, inoltre, che un potenziale farmaco utile potrebbe risultare essere l’allopurinolo, andando ad inibire la Xantina Ossidasi.
3-2010-10-2Non poteva mancare una importante sessione sugli antiaggreganti, dopo un 2009 ricco di discussioni e dibattiti e l’arrivo di un nuovo antiaggregante (prasugrel) ed uno imminente in arrivo (ticagrelor). Tra gli interventi sull’argomento, molto interessante è apparso quello della Professoressa Yihong Sun dell’università di Pechino che ha svolto una relazione dal titolo intrigante: “Resistenza agli antiaggreganti: fatti o finzione?” In effetti, durante la sua esposizione si sono toccati tutti i punti salienti della resistenza agli antiaggreganti. La Yihong Sun ha sottolineato la necessità di test (genetici o di laboratorio) per valutare la responsività agli antiaggreganti almeno nei pazienti ad elevato rischio, sottolineando, tuttavia, che gran parte delle metodiche di laboratorio attualmente a disposizione non hanno ancora studi di validazione e pertanto di affidabilità. Tuttavia, il fenomeno della resistenza agli antiaggreganti è reale, con conseguenze sul piano clinico che possono essere talora disastrose per il paziente, in particolare dopo impianto di stent e che impongono grandi problemi di gestione da parte del personale sanitario. Abbiamo attualmente a disposizione studi importanti che hanno avuto il solo scopo di valutare il grado di antiaggregazione dei pazienti in trattamento con ASA e tienopiridine (vedi il RESPOND Trial, basato su test di aggregazione) ed altri in corso (ARTIC, DANTE, GRAVITAS e TRIGGER PCI) per fare sempre più luce su questo tema sempre molto caldo. Ne abbiamo bisogno tutti, credo. Tra i dati nuovi, è stato presentato lo studio INTERSTROKE, pubblicato online su Lancet in quei giorni e presentato appunto al Congresso. Si tratta di uno studio caso-controllo che ha indagato il valore prognostico di noti fattori di rischio per malattia cardiovascolare, individuando fra questi, 10 fattori che spiegherebbero il 90% degli episodi di ictus. Lo studio ha coinvolto 3.000 pazienti (78% con ictus ischemico, 22% con ictus emorragico) con primo evento di ictus cerebrale e 3.000 controlli. I fattori di rischio significativi per stroke sono risultati: ipertensione arteriosa (OR 2,64: 99% CI 2,26-3,08); fumo (OR 2,09: 99% CI 1,75-2,51); rapporto tra circonferenza vita/fianchi (OR 1,65: 99% CI 1,36-1,99); dieta, attività fisica regolare, diabete mellito, consumo di alcool, stress psicosociale, depressione, cause cardiache e rapporto apolipoproteine B/A1. Globalmente tutti questi fattori di rischio spiegherebbero l’88,1% degli ictus. Fra tutti il fattore prognosticamente più importante è risultato essere l’ipertensione arteriosa (Figura 2). Ci si aspettava forse di più in tema di valvulopatie. Solo una sessione sulla valvulopatia aortica, con temi maggiormente inerenti alla diagnosi più che al trattamento (si pensi in particolare al tema molto caldo della TAVI, tema affrontato invece dal nostro giornale) e una sola anche sulla insufficienza mitrale funzionale. In quest’ultima session merita una particolare citazione la relazione del Professor Shiran, da Haifa, Israele, sull’insufficienza tricuspidalica severa tardiva dopo chirurgia ripartiva o sostitutiva della valvola mitralica, relazione che ha messo in luce la sostanziale inadeguatezza delle indicazioni ad intervento anche sulla tricuspide delle attuali Linee Guida sia americane che europee sottolineando l’importanza dei fattori predittivi lo sviluppo della valvulopatia tricuspidalica severa tardiva (dilatazione ventricolare destra, IT moderata coesistente alla valvulopatia mitralica, presenza di fibrillazione atriale, ingrandimento atriale sinistro severo e anulus tricuspidalico >4 cm).

Leonardo Fontanesi
Terapia Intensiva
Hesperia Hospital
Modena
 
ANDREA POZZATI
Sono sato a pechino, e ineffetti l'impressione è di un livello assistenziale e tecnologico discreto nelle grandi città, mentre medicina tradizionale cinese ancora diffusa nelle campagne.
inserito il: 23-10-2010 14:07
 
 
VINCENZO IMMORDINO
Non metto in dubbio che l'ASIA ci sia, ma ancora troppi cinesi non hanno una adeguata assistenza sanitaria, specie nelle campagne
inserito il: 28-10-2010 22:17
 
 
GIOVANNI CROCIATI
Evviva.
inserito il: 06-11-2010 23:30