UOMINI da MARTE e DONNE da VENERE

Differenze di genere nella fisiopatologia della cardiopatia ischemica e nella risposta ai farmaci.

3-2010-11-1La cardiopatia ischemica è una patologia per molti aspetti diversa negli uomini e nelle donne. E sempre più spesso si parla della necessità di individuare strategie specifiche di diagnosi e terapia che considerino le differenze di genere. Rispetto agli uomini, le donne hanno: una prevalenza maggiore di malattia coronarica, almeno in età avanzata; un tasso di mortalità superiore per malattia coronarica; una prognosi peggiore in seguito ad eventi coronarici acuti; fattori di rischio e presentazione clinica diversi. La malattia delle coronarie è la causa principale di morte e disabilità nelle donne nei paesi occidentali, responsabile di circa 250.000 morti all’anno negli Stati Uniti. Il Centro Americano per il Controllo e la Prevenzione delle malattie attribuisce il 38% delle morti delle donne alle coronaropatie, rispetto al 22% di morti causate dai tumori. L’insorgenza della malattia avviene circa dieci anni più tardi rispetto agli uomini e la sua prevalenza aumenta rapidamente dopo la menopausa, avvicinandosi a quella degli uomini nella settima decade di vita (Figura 1).
Una possibile spiegazione della scadente prognosi cardiovascolare tra le donne sembra risiedere in un bias di genere nell’uso di terapie mediche e di intervento. Daly et al hanno osservato come le donne con angina stabile fossero meno frequentemente sottoposte ad elettrocardiografia durante sforzo (odds ratio = 0.81; 95% CI 0.69–0.95) o ad angiografia coronarica (odds ratio = 0.59; 95% CI 0.48–0.72). Allo stesso modo, la terapia medica (farmaci antiaggreganti e statine) e le procedure di rivascolarizzazione sono risultate meno utilizzate nelle donne rispetto agli uomini, sia alla prima visita che a distanza di un anno; solo le donne con rischio cardiovascolare elevato erano sottoposte a test diagnostici dirimenti ed avviate al trattamento terapeutico.
3-2010-11-2In confronto agli uomini, più donne con malattia coronarica hanno manifestazioni atipiche e poche di loro hanno una stenosi coronarica significativa all’angiografia. Numerosi studi angiografici hanno dimostrato una malattia coronarica epicardica meno evoluta nelle donne che negli uomini. Lo studio WISE (Women’s Ischemia Syndrome Evaluation) ha confermato che circa il 60% delle donne sottoposte ad angiografia in seguito a dolori toracici o a stress-test positivi risulta esente da stenosi significativa dei vasi epicardici (>50%). Nonostante l’assenza del substrato morfologico, i sintomi di queste donne persistono o peggiorano nel tempo, dimostrando una prognosi peggiore a 5 anni in confronto con donne coetanee di controllo. La maggiore frequenza in queste pazienti di uno stress-test positivo suggerisce che questa tipologia di ischemia miocardica potrebbe risultare da una malattia microvascolare, da una disfunzione endoteliale o da entrambe. Inoltre, stenosi emodinamicamente significative vengono riconosciute solo nella metà delle donne sottoposte a cateterismo cardiaco in seguito a sindrome coronarica acuta. La prevalenza della coronaropatia ostruttiva è simile solo in uomini e donne più anziani. Le donne, inoltre, hanno arterie coronariche più piccole rispetto agli uomini, anche dopo correzione per la superficie corporea. È, quindi, possibile che esse soffrano maggiormente per un’ulteriore riduzione del diametro di un’arteria, sia essa legata a stenosi o indotta da disfunzione endoteliale. Numerosi studi di anatomia patologica e/o basati sull’ecografia intracoronarica hanno dimostrato, pur in presenza di un numero comparabile di placche e di calcificazioni coronariche in soggetti dei 2 sessi, una diversa dinamica di accrescimento: il rimodellamento vascolare positivo (placca che protrude verso l’esterno, piuttosto che impegnare il lume) è più comune nelle donne che negli uomini. Un’ulteriore differenza di genere riguarda il meccanismo di instabilizzazione della placca come evento scatenante delle sindromi coronariche acute. L’erosione della placca con successiva trombosi risulta, infatti, la causa precipitante almeno nel doppio dei casi di pazienti femmine rispetto a pazienti maschi (37% nelle prime, 18% nei secondi). Viceversa, più uomini che donne presentano una rottura di placca (82% vs 63%). La valutazione della malattia coronarica nel genere femminile è resa più ardua da una maggiore presenza di sintomi accessori nelle sindromi da dolore toracico, maggiori disabilità e una più frequente presentazione “atipica” rispetto agli uomini. Inoltre, i test diagnostici tradizionali risultano meno sensibili e specifici nelle donne. La nominata “atipicità” della sintomatologia anginosa e la prognosi peggiore per la donna coronaropatica potrebbero in parte dipendere dalla maggiore disfunzione endoteliale, con l’incapacità di arterie e arteriole di dilatarsi per un’insufficiente produzione di ossido nitrico (NO) (Figura 2). Un endotelio disfunzionante a livello di arterie più piccole e di arteriole potrebbe essere responsabile dell’ischemia miocardica, anche in assenza di una stenosi emodinamicamente significativa in un’arteria coronarica epicardica.
Il gruppo WISE ha recentemente riesaminato questo topic in dettaglio. È stato ripetutamente segnalato che la funzione vasomotrice dell’endotelio arterioso danneggiato si associa con un maggior rischio a lungo termine di eventi cardiovascolari nelle donne. Questi dati richiedono una validazione sostanziale così come modelli per definire un percorso casuale di disfunzione vascolare e comparsa dei sintomi cardiaci. Differente risposta ai farmaci. Le differenze di genere, oltre fisiopatologia e clinica, si estendono alla risposta ai farmaci. La farmacodinamica e la farmacocinetica sono, infatti, influenzate sia dall’assetto enzimatico che dalle differenze anatomo-fisiologiche proprie dei 2 sessi. Tutti questi parametri possono essere ulteriormente modificati dai diversi assetti ormonali che si susseguono nel corso della vita della donna. Il genere, attraverso la determinazione dei caratteri propri di ciascun sesso (peso corporeo, percentuale di grasso corporeo, variabile velocità di svuotamento gastrico, diversa secrezione acida gastrica, volume ematico, percentuale di legame a proteine plasmatiche, grado di clearance renale) è in grado di influenzare tutte le diverse fasi della farmacocinetica: assorbimento, legame alle proteine, distribuzione, metabolismo di fase 1 (differente attività delle isoforme del CYP450) e 2 ed eliminazione renale (Figura 3). 3-2010-11-3Tali differenze si riflettono nel raggiungimento e mantenimento di diverse concentrazioni plasmatiche del farmaco somministrato e, quindi, in differenti efficacia e/o tossicità del farmaco stesso. La risposta ai farmaci dipende, inoltre, dal substrato sul quale essi agiscono. Sono note differenze di genere inerenti i target molecolari di quasi tutte le classi di farmaci utilizzate in cardiologia. La maggiore tossicità della digossina nella donna, oltre che a differenze di ordine farmacocinetico, sembra dovuta ad una minore densità di Na/K ATPasi nelle pazienti con insufficienza cardiaca. Le principali differenze di genere riguardano, per esempio, i recettori adrenergici (la numerosità di quelli β-adrenergici è maggiore nell’uomo, così come l’entità della risposta α1-mediata) ed il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Gli estrogeni inibiscono nella donna la sintesi epatica di angiotensina e l’espressione miocardica degli ATR1, mentre aumentano quella degli ATR2. Effetti collaterali e reazioni avverse si verificano con maggiore frequenza nella donna in terapia con ACE-inibitori. Ulteriori evidenze di diversa efficacia sono note a carico dell’acido acetilsalicilico e degli anticoagulanti. Il primo è meno attivo nel sesso femminile; i secondi sono responsabili di un maggiore rischio di eventi ischemici cerebrali con maggiori sequele neurologiche in donne affette da FA rispetto a pazienti maschi, a fronte di un grado paragonabile di anticoagulazione. La farmacologia di genere è una disciplina in crescente evoluzione, i cui progressi permetteranno, nel prossimo futuro, una ottimizzazione della terapia con aumento di efficacia e ridotta incidenza di effetti collaterali. Nell’attesa, nella prescrizione terapeutica, la posologia dovrebbe essere corretta, nel sesso femminile, per il peso (le dosi sono standardizzate per individui maschi di 70 Kg) e, nel caso di farmaci a prevalente escrezione renale, per la velocità di filtrato glomerulare, almeno nei casi di molecole con ridotto indice terapeutico.

Christian Cadeddu
Martino Deidda
Giuseppe Mercuro
Dipartimento Scienze Cardiovascolari e Neurologiche
Università di Cagliari