DANNO RENALE: SAPPIAMO TUTTO?

A Cuore è/e Cervello ampio approfondimento sulle relazioni tra microalbuminuria, danno renale e rischio cardio-cerebrovascolare.

3-2010-15-1L’ipertensione arteriosa rappresenta uno dei principali fattori di rischio per insorgenza e progressione di nefropatia (Figura 1). Da un punto di vista fisiopatologico, la nefropatia su base ipertensiva si articola in tre momenti fondamentali: a) l’insorgenza di ipertensione glomerulare; b) l’aumento della permeabilità capillare a livello glomerulare; c) la comparsa di proteinuria. Gli effetti dannosi dell’ipertensione arteriosa sul letto vascolare renale sono espressione del grado di esposizione del microcircolo glomerulare agli elevati livelli tensivi e di una sofferenza vascolare che si viene a determinare nel momento in cui il meccanismo autoregolatorio pre-glomerulare diventa insufficiente per mantenere un flusso ed una pressione “adeguati”. In accordo con quanto indicato dalle Linee Guida europee dell’ipertensione arteriosa ESH/ESC del 2007, riconfermato anche nel 2009 in una rivisitazione delle stesse da parte di una Task Force Europea, la diagnosi di danno renale legato ad uno stato ipertensivo si basa sul riscontro di elevati livelli di creatinina sierica e/o di una riduzione della clearance della creatinina o, più adeguatamente, di una riduzione del filtrato glomerulare (GFR) e/o di una elevata escrezione urinaria di albumina. Il GFR, inoltre, è il parametro sul quale si basa la classificazione in stadi dell’insufficienza renale correntemente usata nella pratica clinica (Tabella). L’insufficienza renale cronica è definita dalla presenza per un periodo ≥ 3 mesi di danno renale e/o da un valore di filtrato glomerulare (GFR) <60ml/min/1.73m².
Il GFR è un forte predittore sia della durata che del rischio di complicanze nell’insufficienza renale cronica. Esso può essere valutato indirettamente attraverso la misurazione e/o stima della clearance della creatinina. A tale riguardo, come indicato nell’aggiornamento delle Linee Guida europee, la misurazione mediante equazione derivata dallo studio MDRD (Modification of Diet in Renal Disease), che tiene conto sia dei valori di creatininemia che dell’età e sesso del paziente, è risultata essere assai predittiva di eventi cardiovascolari e renali tanto nel paziente con ipertensione arteriosa quanto in quello con diabete. Il riscontro di una compromissione della funzione renale in un paziente iperteso è, infatti, frequente e rappresenta un elemento in grado di predire in modo accurato la morbilità e la mortalità cardiovascolari (Figura 2). 3-2010-15-2Nei pazienti ipertesi, sia diabetici che non diabetici, la presenza di microalbuminuria, anche quando inferiore ai valori soglia di riferimento, si è dimostrata in grado di predire sia la morbilità che la mortalità cardiovascolari. Nel paziente iperteso, pertanto, le Linee Guida europee dell’ipertensione arteriosa raccomandano di valutare la funzione renale tramite la stima della clearance della creatinina o del GFR e della microalbuminuria (mediante dipstick test) e, se lo stick test è positivo, di effettuare la misurazione quantitativa dell’albuminuria. A ridosso dell’estate, nella splendida cornice naturale e storica Eugubina, si è svolto il VI Convegno Nazionale Cuore è/e Cervello. In questa ambientazione da sogno, diversi sono stati gli argomenti affrontati ed ampio spazio è stato rivolto agli aspetti fisiopatologici e clinici riguardanti la prevenzione cardio- cerebro- e nefro-vascolare. In tale contesto, anche a conferma dell’importanza dell’argomento considerato, particolarmente interessante è stato quanto riportato da Alberto Morganti, Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa. Relativamente al rene come marker e bersaglio nella protezione multi organo è stato mostrato uno studio osservazionale italiano, pubblicato a Gennaio scorso sul Journal of Hypertension, volto a determinare la correlazione tra malattia renale cronica ed ipertensione arteriosa. 3-2010-15-3Lo studio I-DEMAND (Italy Developing Education and awareness on MicroAlbuminuria in patients with hyperteNsive Disease) ha mostrato come tra i 3.534 pazienti ipertesi considerati (età media 61 anni, 54% di sesso maschile, 37% diabetici), la prevalenza di microalbuminuria, ridotto GFR ed insufficienza renale cronica, era rispettivamente del 27%, 26% e del 42%. Inoltre, l’11% dei pazienti presentava la concomitanza di microalbuminuria e ridotto GFR. Sesso, fumo, pressione arteriosa sistolica, valori di glicemia e livelli di GFR risultavano essere predittori indipendenti del rapporto albuminuria/creatininuria. Mentre il sesso, l’età, la storia positiva per malattie cardiovascolari, l’acido urico, l’obesità addominale ed il rapporto albuminuria/creatininuria erano più strettamente legati al GFR. La presenza di insufficienza renale cronica si associava all’età avanzata, al fumo, ai valori di pressione arteriosa sistolica e pulsatoria, oltre che alla presenza di alterata glicemia a digiuno, iperuricemia e precedenti malattie cardiovascolari. I dati presentati hanno mostrato come il danno renale sia estremamente frequente in un numero significativo di pazienti ipertesi. A conferma di ciò, una recente meta-analisi pubblicata sul Lancet, ha ulteriormente evidenziato come il GFR ed i valori di albuminuria siano in grado di predire in modo indipendente la mortalità cardiovascolare e per tutte le cause. Nello specifico, su un totale di 1.128.310 partecipanti, il rischio di mortalità globale è risultato aumentato soltanto per valori bassi di GFR. Al contrario, non vi era correlazione con rischio di mortalità per valori di GFR compresi tra 75 ml/min/
1.73m² e 105 ml/min/1.73 m². Differentemente dal GFR, il rapporto urinario albumina-creatinina si associava linearmente con il rischio per la mortalità globale, senza effetti di soglia, con una mortalità più elevata per valori del rapporto urinario albumina-creatinina progressivamente più elevati. Questi dati hanno suggerito che la presenza di valori di GFR <60ml/min/1.73 m² e un rapporto urinario albumina-creatinina pari a 1,1 mg/mmol (10 mg/g) o più sono predittori indipendenti di rischio di mortalità nella popolazione generale. Questa stessa meta-analisi ha fornito, inoltre, dati quantitativi per l’utilizzo di entrambe le misure per la valutazione del rischio, la definizione e la stadiazione della malattia renale cronica e quindi per una valutazione prognostica cardiovascolare in relazione a marcatori di danno renale. Ancora una volta appare fondamentale affermare la necessità di migliorare la consapevolezza del ruolo del danno renale come componente del rischio cardiovascolare globale. Sviluppare una maggiore sensibilità per la valutazione precoce del danno renale nel paziente iperteso potrebbe favorire una maggior accuratezza diagnostica e prognostica, oltre ad un uso mirato di strategie terapeutiche antipertensive volte alla riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolari in questo specifico sottogruppo di pazienti. In questo processo di apprendimento, fondamentale è il ruolo di congressi innovativi e dal successo crescente come Cuore è/e Cervello, in cui avviene un incontro realmente interdisciplinare ed interattivo tra diversi Specialisti, a loro volta espressione di molteplici e prestigiose realtà scientifiche italiane, e Medici di Medicina Generale. Grazie a tale colta interattività, infatti, è in occasioni come quella offerta da Cuore è/e Cervello che si discute e si decide non solo su quanto si deve sapere in tema di prevenzione “cardio-cerebro-vasculo-renale”, ma soprattutto su quanto si deve poi saper tradurre nella pratica clinica quotidiana per migliorare qualità e quantità di vita dei nostri pazienti.

Davide Grassi
Università dell’Aquila
Dipartimento di Medicina Interna e Sanità Pubblica