TCT e American College of Cardiology stringono un patto per offrire una superpiattaforma di aggiornamento in Cardiologia interventistica. Al TCT 2010 di Washington tanti dati dai DES all’ipertensione arteriosa.
Si è svolto a Washington, a fine settembre, il TCT, il più importante appuntamento oltreoceano di aggiornamento sulle terapie cardiovascolari trans-catetere. La prima novità è stata la nomina dell’American College of Cardiology come co-sponsor ufficiale del Congresso. Secondo Gregg W. Stone, direttore del corso TCT, tale collaborazione porterà nei prossimi anni allo sviluppo di un sito web in associazione tra CardioSource e TCTMD, alla promozione di incontri educazionali nazionali ed internazionali, all’implementazione di programmi di ricerca e formazione per la preparazione delle nuove generazioni di Cardiologi interventisti. Tutti gli abstract accettati per la presentazione al TCT 2010 nei prossimi anni verranno pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology. Molti gli studi che sono stati presentati e discussi nell’ambito della cardiopatia ischemica e della cardiopatia strutturale, che sempre più sta coinvolgendo gli emodinamisti. I dati a 3 anni dello studio SYNTAX mostrano, nei pazienti con coronaropatia trivasale, minori benefici rispetto al by-pass aorto-coronarico (CABG) mentre, nei pazienti con malattia del tronco comune, entrambe le strategie di rivascolarizzazione risultano sicure ed efficaci nello stesso modo. Ricordiamo che lo studio SYNTAX ha arruolato pazienti eleggibili sia per la rivascolarizzazione chirurgica che percutanea, randomizzandoli a CABG (n=897) o a stent medicato (DES) con paclitaxel (n=903; Taxus, Boston Scientific). A un anno (dati presentati al congresso ESC 2008) l’angioplastica era inferiore al CABG per quanto riguarda gli eventi cardiaci avversi maggiori (MACE) (end point primario, definito come insieme di: morte, ictus, infarto, rivascolarizzazione ripetuta) nei pazienti con punteggio Syntax intermedio (23-32) o alto (> 33). A tre anni, Patrick W. Serruys, dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, ha riconfermato i dati per quanto riguarda i pazienti trivasali mentre nei pazienti con malattia del tronco comune la frequenza di ictus è risultata superiore per il CABG; le rivascolarizzazioni ripetute sono state più alte con l’angioplastica e, in questi pazienti, la PCI ha dimostrato di non essere inferiore al CABG (Tabelle 1 e 2). Dal momento che i due trattamenti risultano ugualmente efficaci e sicuri, l’angioplastica sarebbe un trattamento alternativo ragionevole nella popolazione di pazienti con punteggio Syntax basso (< 22) o intermedio. Questi risultati sono consoni con le nuove linee guida sulla rivascolarizzazione coronarica pubblicate recentemente dall’ESC e dall’Associazione Europea di Chirurgia Cardio-Toracica. Il documento, infatti, incorpora il punteggio Syntax e la conseguente stratificazione del rischio del paziente come un passo fondamentale per porre l’indicazione corretta al trattamento, in attesa dei risultati dello studio EXCEL, un altro studio randomizzato, che per caratteristiche e numerosità potrebbe ulteriormente modificare le linee guida. Nella lotta alla restenosi lo studio EXECUTIVE ha mostrato la superiorità dello stent medicato con everolimus rispetto a quello medicato con paclitaxel nei pazienti con coronaropatia multi vasale. Lo studio EXECUTIVE è composto di due parti: uno studio multicentrico, prospettico e randomizzato di 200 pazienti e un registro prospettico a singolo braccio di 400 pazienti. L’end point primario per lo studio multicentrico è la valutazione a 9 mesi della perdita di lume nello stent. Per il registro, l’end point primario è composto da mortalità per tutte le cause, infarto (Q e non Q), rivascolarizzazione ischemia-guidata del vaso target a 12 mesi. Caratteristiche dei pazienti e terapie risultavano sovrapponibili per entrambe le componenti dell’EXECUTIVE. A 9 mesi i dati angiografici mostravano che i pazienti con malattia multivasale trattati con DES all’everolimus (Xience V, Abbott) avevano minor perdita di lume intra-stent (0.08 mm in 227 lesioni) rispetto a quelli trattati con DES al paclitaxel (Taxus Liberté, Boston Scientific) (0.22 mm in 194 lesioni) e la differenza risultava statisticamente significativa (p=0.018). Superiorità dei DES di seconda generazione a rilascio di everolimus (Xience V, Abbott) rispetto a quelli a rilascio di paclitaxel (Taxus Express, Boston Scientific) anche a distanza di 2 anni, come sancito dallo studio SPIRIT IV, nella sessione “late-breacking trials”. I pazienti randomizzati dai ricercatori sono stati 3.687, in un rapporto 2:1 a favore dei DES con everolimus. Questi ultimi continuano a ridurre l’end point primario composito di fallimento sulla lesione target (morte cardiaca, infarto vaso correlato, rivascolarizzazione ischemia guidata del vaso target). Anche la trombosi tardiva secondo la definizione ARC, dimostrata o probabile, risultava sostanzialmente più bassa con i nuovi stent (Xience V 0.42%, Taxus Express 1.23%, p=0.008). Nessuna buona notizia per i pazienti diabetici che in questo studio non hanno goduto di nessun vantaggio extra con i DES all’everolimus rispetto a quelli al paclitaxel. Sempre nella coorte ad alto rischio dei diabetici gli stent a rilascio di everolimus (Promus, Boston Scientific) battono gli stent a rilascio di sirolimus (Cypher, Cordis Corporation) nello studio ESSENCE-DIABETES, con una restenosi angiografica a 8 mesi significativamente inferiore (0% vs 4.7%, p=0.029). In pazienti con coronaropatia stabile, nel testa a testa di confronto di tre differenti DES a rilascio di zotarolimus (Endeavor, Medtronic; n=853), di sirolimus (Cypher, Cordis Corporation; n=847) o di paclitaxel (Taxus Liberté, Boston Scientific; n=852) lo studio ZEST a 2 anni mostra che il DES allo zotarolimus ha gli stessi MACE di quello al sirolimus e minori eventi paragonato a quello al paclitaxel. Nuove tecnologie per ridurre la restenosi intra-stent sono state riportate dallo studio PERFECT, uno studio multicentrico, randomizzato, a singolo cieco, dove il confronto si attua tra angioplastica con pallone medicato al paclitaxel, seguito da impianto di stent chelanti le cellule progenitrici endoteliali con anticorpi umani anti-CD34 sulla superficie, o solo l’impianto diretto di quest’ultimo stent. Pallone più stent hanno significativamente meno perdita di lume, meno restenosi binaria, lume più ampio al follow up, minor end point clinico combinato (rivascolarizzazione ischemia guidata del vaso target, infarto, morte, MACE, trombosi intra-stent), nessuna trombosi provata o probabile a 6 mesi. Nell’infarto acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) i DES (Taxus, Boston Scientific) mostrano maggiori benefici rispetto agli stent non medicati (BMS) (EXPRESS, Boston Scientific), che persistono anche a 3 anni come ha dimostrato lo studio HORIZONS-AMI, presentato da Gregg W. Stone nella “main arena”: significativa riduzione del 40% della restenosi, espressa come rivascolarizzazioni della lesione trattata, con un numero di pazienti da trattare pari a 25 per ridurre 1 restenosi (Figura 1); nessuna differenza significativa nella mortalità per tutte le cause e cardiaca, reinfarto e stent trombosi, dimostrando anche in questo quadro clinico la sicurezza dei DES (Figura 2). L’altra randomizzazione dello studio riguardava l’approccio farmacologico, confrontando l’utilizzo di eparina non frazionata (UHF) + inibitori della glicoproteina IIb/IIIa (GpI), abciximab o eptifibatide con bivalirudina. Il gruppo trattato con bivalirudina ha dimostrato una riduzione significativa della mortalità cardiaca a 30 giorni, 1 anno e, negli ultimi dati, a 3 anni (-44%) (Figura 3), con significativa riduzione dei sanguinamenti maggiori (-30%) e del reinfarto (-24%). Per salvare una vita è necessario trattare con bivalirudina 56 pazienti, dimostrando come questo farmaco sia standard di cura nello STEMI. Molte presentazioni hanno riguardato la valutazione del tipo di accesso per l’angioplastica. Nei pazienti con sindrome coronarica acuta l’approccio radiale si è dimostrato più sicuro con una frequenza significativamente minore di complicanze emorragiche maggiori rispetto all’approccio femorale nel registro Euro Heart Survey Program PCI (24.257 pazienti sottoposti a PCI d’urgenza in Germania tra il 2005 e il 2008). Per quanto riguarda gli interventi terapeutici che possono modificare i risultati dell’angioplastica il trial DECLARE-LONG II ha dimostrato che la triplice terapia antiaggregante usando cilostazolo è associata a minor perdita di lume intra-stent dopo impianto di DES rispetto alla classica doppia terapia antiaggregante (aspirina+clopidogrel). La rosuvastatina somministrata ad alta dose (40 mg) prima di angioplastica elettiva riduce significativamente l’infarto periprocedurale definito come aumento > 3 volte i limiti di norma delle CPK-MB, come ha presentato Gennaro Sardella, spiegando i risultati dello studio ROMA. Per la patologia strutturale nel summit delle valvulopatie, 3 registri (TAVI, PARTNER EU, SOURCE) hanno dimostrato minor mortalità per l’accesso transfemorale rispetto a quello transapicale nell’impianto percutaneo di valvola aortica del modello Sapien (Edwards Lifesciences). I risultati di due studi con la valvola aortica transcatetere CoreValve hanno dimostrato miglioramento degli outcome cardiaci e nell’ictus ad 1 mese ma restano problematiche le complicanze vascolari. La chiusura del forame ovale (PFO) risulta associata ad una miglior sopravvivenza, minor incidenza di ictus ed attacchi ischemici transitori a 10 anni, paragonata alla sola terapia medica nell’esperienza dell’Ospedale Cantonale di Berna con un totale di 308 pazienti trattati tra il Gennaio 1994 e l’Agosto 2000. David R. Holmes della Mayo Clinic ha presentato i risultati iniziali del trial PROTECT-AF, confronto, nella fibrillazione atriale non valvolare, dell’impianto del filtro Watchman (Atritech) per la chiusura dell’auricola sinistra e sospensione dell’anticoagulante dopo 45 giorni, contro il solo trattamento anticoagulante. In questo studio la chiusura percutanea dell’auricola sinistra si è dimostrata competitiva verso la terapia con warfarin, raggiungendo i criteri di non inferiorità e riducendo tutti gli ictus del 28%, l’ictus emorragico del 94% e la mortalità del 38% (Tabella 3). Anche l’ipertensione arteriosa, baluardo della terapia medica, è diventata interesse dell’emodinamista. La sensibilizzazione dei baroriflessi e la denervazione simpatica stanno portando al trattamento interventistico dell’ipertensione mediante l’impianto di un generatore di impulsi programmabile con elettrodi attaccati al seno carotideo. Risultati preliminari dello studio DEBuT hypertension hanno indicato che 12 su 18 pazienti impiantati hanno raggiunto valori di pressione arteriosa sistolica <140 mmHg, con una riduzione della pressione sistolica di almeno 30 mmHg in 13 su 18. Anche la denervazione percutanea con radiofrequenza dei nervi simpatici renali sembra avere effetti benefici: in 45 pazienti la pressione in ambulatorio è stata ridotta di 27-17 mmHg a 12 mesi.
Andrea Macchi Responsabile di Unità Funzionale Cardiologia Clinica Reparto 2 Dipartimento Cardiotoracovascolare IRCCS Ospedale San Raffaele Milano
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