UNA “CLIP” PER LA MITRALE

Al GISE 2010, focus su una procedura innovativa e affascinante per trattare l’insufficienza mitralica.

4-2010-6-1Il Congresso nazionale della So­cietà Italiana di Cardiologia In­va­siva 2010 (GISE 2010) tra le mol­teplici tematiche affrontate ha mostrato particolare interesse per una procedura innovativa e affascinante, destinata con grande probabilità a cambiare la storia naturale dell’insufficienza mitralica funzionale in primis e, in maniera più contenuta, di quella organica: la MitraClip (Figura 1), affrontata nella sessione dedicata alle patologie strutturali dal Dott. Scandura ed in altre sessioni dalla Prof.ssa Petronio, dai Dr.i Maisano, Ussia ed altri. Il meccanismo con cui la clip mitralica si propone di ridurre l’insufficienza valvolare affonda le radici nella tecnica chirurgica di riparazione introdotta negli anni ’90 da O. Alfieri, ossia di suturare gli “scallop” centrali dei lembi valvolari mitralici così da creare un doppio orifizio valvolare e diminuire l’entità del jet rigurgitante. L’approccio interventistico a tale procedura consta di una serie di passaggi: attraverso la puntura della vena femorale destra si fa avanzare il sistema in atrio destro, si pratica una puntura transettale a livello della fossa ovale in sede postero-superiore ad almeno 3.5-4 cm dall’annulus, si attraversa il setto interatriale e si orienta il catetere contenente la clip; successivamente, dopo opportune valutazioni ecocardiografiche di corretto orientamento ed allineamento del sistema, si apre la clip, si attraversa la valvola mitrale e si aprono i “grippers” per far sì che i lembi vi si adagino sopra: quando ciò avviene e ci si è assicurati che la clip è adeguatamente posizionata, questa viene rilasciata. Qualora una clip non risultasse sufficiente a ridurre il jet rigurgitante in maniera significativa si può pensare di impiantarne un’altra. Questa procedura, ap­pa­rentemente semplice, è in realtà mol­to delicata e laboriosa e richiede un’attenta valutazione ecocardiografica transesofagea (TEE) dell’anatomia mitralica prima dell’impianto, per poter includere o escludere un paziente. L’eco­car­dio­grafia TEE, inoltre, risulta fon­damentale, come anticipato, nel monitoraggio dell’impian­to nel laboratorio di emodinamica. Un contributo im­por­tante, ma allo stato attuale an­cora non indispensabile, è svol­to dall’ecocardiografia trans­­esofagea tridimen­sionale real time (TEE3DRT), che fornisce una rap­presentazione “en face” della valvola mitrale più agevole della proiezione transgastrica del­l’Eco TEE bidimensionale. 4-2010-6-2L’analisi ecocardiografica pre-impanto viene svolta effettuando con metodica sequenzialità una serie di proiezioni (Tabella 1) atte a rappresentare in tutta la sua complessità l’anatomia valvolare mitralica, al fine di individuare la fattibilità o meno della procedura. Caratteristica fondamentale per poter procedere è la presenza di un jet rigurgitante di interesse chirurgico e di origine il più possibile centrale (A2-P2): un jet commissurale viene automaticamente escluso. I due lembi devono coaptare per almeno 2 mm e lo spazio sottovalvolare, inoltre, de­ve essere sufficiente a muovere la clip senza rischio di intrappolamento tra le corde. Il nodo crucia­le per la riuscita clinica e procedu­rale è l’individuazione dei pazienti “eleggibili”: il primo trial pubblicato nel 2005, l’EVEREST ha selezionato 27 pazienti affetti da un’insufficienza valvolare di interesse chirurgico ed in 24 di loro è stata effettuata la procedura transcatetere al posto della chirurgia convenzionale, con buo­ni risultati in termini di riduzione del grado di insufficienza mitralica e di assenza di complicanze peri-procedurali e di eventi avversi maggiori a trenta giorni. Questo trial reclutava dunque pazienti eleggibili per la chirurgia convenzionale. L’EVEREST II, un trial randomizzato, ha arruolato 279 pazienti, di cui 184 sono stati sottoposti a procedura transcatetere e 95 a chirurgia. I risultati sono stati molto positivi per la clip, sia in termini di riduzione del rigurgito che di eventi avversi; fondamentali sono stati i criteri per l’arruolamento dei pazienti. L’EVEREST II, inoltre, ha creato un registro di pazienti ad elevato rischio chirurgico in cui la clip ha migliorato il loro quadro emodinamico e clinico. I criteri per l’impianto della clip sono dunque sia clinici che di fattibilità tecnica ed entrambi devono essere soddisfatti. Allo stato at­tuale la maggior parte degli impianti è rivolta prevalentemente ai pazienti affetti da una insufficienza valvolare il cui meccanismo fisiopatologico è il rimodellamento ventricolare sinistro con insufficienza cardiaca più o me­no manifesta, spesso già re­sin­cronizzati, ma non responder per via della persistenza di un rigurgito emodinamicamente si­gni­fi­ca­tivo e tale da non migliorare la loro classe funzionale. Più raramente, destinatari di tale procedura possono essere pazienti con ma­lattia valvolare organica, co­me il prolasso degli scallop A2-P2 (centrali) che sono ad alto rischio per la chirurgia. La clip, a differenza di tutte le altre procedure interventistiche, non rappresenta la tappa finale e risolutiva di una patologia, bensì uno strumento terapeutico da sfruttare nell’ambito di una ma­lattia evo­lutiva quale è lo scompenso cardiaco: alla fine della procedura rimane il paziente con problemi multipli e subentranti, che deve essere adeguatamente se­gui­to e supportato da un ambulatorio dedicato, per poter al meglio ottimizzare le risorse terapeutiche oggi a disposizione.

Leda Bernardi
UOC di Cardiologia Interventistica
Ospedale S. Camillo, Roma