Dagli studi sui polimorfismi genetici alla governance: il 44° convegno del “De Gasperis” spinge sulle applicazioni reali in Cardiologia delle innovazioni scientifiche.
Anche il Convegno 2010 ha mantenuto fede allo stile dell’evento voluto dal prof. Fausto Rovelli 44 anni fa, da Lui fatto crescere e reso uno dei momenti più significativi della formazione dei Cardiologi Italiani: proporre e discutere i criteri di pratica applicazione delle più significative innovazioni diagnostiche e terapeutiche del panorama internazionale della Disciplina, verificandone criticamente i reali vantaggi ed i possibili limiti. Tra i numerosi argomenti trattati, uno di particolare interesse per contenuto di novità è stato quello relativo alla comprensione della struttura del DNA, dei meccanismi di riproduzione del RNA messaggero e delle modalità informative per la costruzione delle proteine e delle caratteristiche fenotipiche degli individui. Permangono ancora inspiegate molte osservazioni e, di conseguenza, gli aspetti diagnostici ed i comportamenti terapeutici anomali di quotidiano riscontro. Per fare un esempio, si constata che è sufficiente una minima quota di DNA (1-1.4%) per codificare tutte le proteine del corpo umano: ed il resto a cosa serve? D’altra parte, si è anche riconosciuto che tutto quanto precede o segue i segmenti “effettori” del DNA influisce sul risultato delle operazioni di riproduzione e codificazione delle molecole viventi. La presentazione di Cesare Sirtori e di Michela Triolo ha dimostrato come i polimorfismi dei geni determinano alcune varianti fenotipiche individuali che hanno effetto sul rischio cardiovascolare. Così, ad esempio, alcuni polimorfismi del gene VAMP8, codificante una proteina implicata nella degranulazione piastrinica, hanno mostrato, in tre studi caso-controllo, una stretta correlazione con la comparsa di IMA precoce (< 50 anni). Analogamente, le mutazioni dei geni sono alla base della variabilità di risposta terapeutica nei confronti di farmaci di primaria importanza come ipolipemizzanti, prodotti attivi sulla coagulazione e l’aggregazione piastrinica, digossina, beta-bloccanti e diuretici. L’effetto è ottenuto per modifiche dei sistemi di trasformazione (es. CYP450), di trasporto (MDR, ABCB, OATP, ecc.) e recettoriali (beta-adrenergici, HMG-CoA reduttasi, tipi 1 dell’Angiotensina 2, ecc). Si deve riconoscere che i risultati sin qui ottenuti nell’identificazione delle precise alterazioni delle sequenze aminoacidiche che provocano alcune malattie cardiovascolari o che modulano la risposta ad alcuni farmaci rappresentano solo la punta di un iceberg la cui intera scoperta sarà di straordinaria difficoltà. Tuttavia, danno la consapevolezza di avere a disposizione metodologie e strumenti adatti a capire le cause ultime di discostamento dalla stato di salute e di prevedere la risposta a trattamenti terapeutici sempre più personalizzati. Uno dei riscontri epidemiologici di maggiore evidenza negli ultimi anni è sicuramente l’aumento di Pazienti in cui le patologie cardiovascolari si associano ad altre importanti entità nosologiche: i tumori, le malattie ematologiche, gli interventi chirurgici, in particolare quelli indicati per patologie oncologiche. La prima osservazione da rilevare è che i presìdi chemioterapici e antitumorali, sempre più efficaci nell’arrestare la crescita del male, esplicano però rilevante effetto cardiotossico. I meccanismi biomolecolari della cardiotossicità sono noti: la tossicità cellulare diretta, quale ad esempio quella esercitata dalle antracicline e la tossicità indiretta per interferenza con le difese cellulari. Così, l’inibizione dei recettori HER2 indotta da un anticorpo monoclonale, il trastuzumab, determina attivazione delle caspasi intracellulari responsabili dell’apoptosi ed inibisce le neuroregoline, i fattori di crescita, l’ossido nitrico. L’effetto di distruzione delle cellule tumorali è eccellente sia per potenza sia per specificità ed ottiene un vantaggio straordinario in termini di sopravvivenza, ma può indurre disfunzione ventricolare sinistra in una percentuale di pazienti elevata e variabile dal 8% al 30%. L’uso di questi presìdi si estende anche alla terapia delle malattie ematologiche ed alle procedure di condizionamento pre-trapianto di midollo o di cellule staminali. Ne sono derivati protocolli di primo approccio e di monitoraggio cardiovascolare di questi pazienti che hanno aumentato, in modo rilevante, le possibilità di trattamento e la sicurezza. I protocolli, già applicati nei principali Centri Cardiologici Italiani tra i quali il “De Gasperis”, sono oggetto di continue revisioni in relazione ai sempre nuovi principi attivi farmacologici introdotti in terapia, alla messa a punto di nuove metodiche diagnostiche e ai risultati ottenuti e validati in Studi controllati. Analogamente, vanno sempre aggiornati i protocolli di valutazione del rischio cardiologico nei malati con cardiopatia e che necessitano di un approccio chirurgico alla loro concomitante patologia tumorale. Le presentazioni di Carlo Cipolla, di Gianfranco Sinagra e di Paola Marenco hanno offerto all’uditorio un quadro completo, aggiornato e utile nella pratica quotidiana. La Cardiologia nell’Ospedale “per intensità di cura” è stato il terzo argomento che ha introdotto forti elementi di novità, prevalentemente sotto il profilo dell’organizzazione sanitaria. Le presentazioni di Carlo Nicora, Alessandro Boccanelli, Edoardo Manzoni, Francesco Bovenzi e Giovanna Bollini hanno illustrato i vantaggi di questo modello operativo quali la forte integrazione tra le varie discipline che entrano in campo nella diagnosi e cura di malati sempre più “polipatologici”, la conseguente centralità del paziente attorno al quale è l’Ospedale che ruota, la ottimizzazione dei tempi di degenza e dell’impiego delle risorse; ma anche il rischio che il Paziente venga valutato in modo frammentato, facendo attenzione non tanto alla sua malattia quanto ad una fase di questa, o enfatizzando gli aspetti di competenza degli operatori in campo piuttosto che rispettare le reali priorità cliniche, la difficoltà da parte del “tutor” del paziente a garantire una efficace continuità assistenziale. Così, se è vero che un modello per intensità di cura a degenze brevi richiede una solida presenza di Strutture sul Territorio che gestiscano il cosiddetto “Out Patient”, la penuria di risorse nei fatti le ha depauperate e, in molte situazioni, ne impedisce la valorizzazione. Hanno anche analizzato i profondi cambiamenti che interverranno nelle competenze e nelle relazioni dei diversi profili professionali. Si tratta di una materia ancora molto fluida che ha alle spalle una consolidata esperienza dei sistemi “vecchi” ma poche realtà che siano in grado di valutare i risultati del “nuovo” sistema per intensità di cura. Tra queste, il Nuovo Niguarda si porrà, nei prossimi anni, come punto di riferimento essendo la più grande Struttura Sanitaria Italiana in cui questa sperimentazione viene condotta in modo complessivo e controllato.
Antonia Alberti Responsabile FF della SC Cardiologia 5 Ambulatoriale Dipartimento Cardiovascolare “De Gasperis” AO Niguarda Cà Granda
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