Ranolazina, nel trattamento dell’angina cronica, migliora il controllo dei sintomi con un meccanismo d’azione del tutto differente dalle terapie fino ad ora raccomandate.
Un quesito che spesso ricorre: ma esistono effettivamente i pazienti anginosi, oggi che le rivascolarizzazioni coronariche chirurgiche, ma ancor più quelle con angioplastica, sono così estesamente applicate? La risposta viene da stime riportate dalla più recente letteratura in base alle quali la prevalenza di angina sarebbe pari a 20-40 casi per mille abitanti, con una frequenza di dieci volte maggiore a 70 anni rispetto a 50 anni, sia negli uomini che nelle donne. Sempre a questo proposito risultano clinicamente molto rilevanti alcuni dati di follow up dello studio COURAGE (Clinical Outcomes Utilizing Revascularisation and Aggressive Drug Evaluation), che in una popolazione selezionata aveva messo a confronto l’outcome di pazienti con ischemia miocardica cronica trattati con angioplastica coronarica + terapia medica ottimale, rispetto a pazienti trattati con la sola terapia farmacologica, dimostrando la superiorità della rivascolarizzazione sulla riduzione dei sintomi ma non sulla mortalità. Al di là di alcune controversie sul disegno dello studio, ciò che colpisce è la constatazione che, a 5 anni dall’arruolamento, oltre un quarto dei pazienti, sia trattato con terapia medica massimale che con angioplastica e farmaci, continuava ad avere sintomi di angina. Si può quindi affermare che né la rivascolarizzazione né i farmaci anti-ischemici raccomandati dalle Linee Guida (beta bloccanti, calcio antagonisti, nitrati) che agiscono nel ridurre la domanda miocardica di ossigeno, sono in grado di controllare efficacemente i sintomi dei pazienti con ischemia miocardica cronica. Nel mondo reale ci aspettiamo, pertanto, di trovare una quantità di soggetti con manifestazioni cliniche dell’ischemia miocardica finora sicuramente sottovalutato, in particolare per la sempre maggiore frequenza di pazienti con precedenti rivascolarizzazioni non ulteriormente trattabili per via interventistica o con condizioni che richiedono un potenziamento della terapia farmacologica abituale non pienamente efficace. Da alcuni mesi è stata introdotta anche in Italia una nuova molecola, ranolazina, già indicata tra i “nuovi farmaci” nelle Linee Guida del 2006 sulla angina cronica della Società Europea di Cardiologia, anche se, a quell’epoca, non era ancora ben identificato il meccanismo d’azione. Negli anni successivi è stato adeguatamente descritto, risultando del tutto innovativo: nel miocardio normale l’attivazione elettrica dei cardiomiociti determina una breve apertura dei canali di membrana, attraverso i quali il sodio (Na) penetra nella cellula producendo la depolarizzazione rapida, con successiva rapida chiusura. A seguire, si aprono i canali per il calcio (Ca), la cui concentrazione induce l’interazione tra actina e miosina permettendo l’attivazione dell’unità contrattile, dopo di che il Ca viene riportato nel reticolo sarcoplasmatico, consentendo il rilasciamento. In molte condizioni di sofferenza miocardica, il Na continua a penetrare attraverso una prolungata apertura di canali lenti, determinando un sovraccarico di Na nella cellula, a sua volta responsabile di un sovraccarico di Ca su actina e miosina, producendo un alterato rilasciamento con una sorta di “contrattura” della fibra miocardica. Si realizza così una rigidità nella fase di rilasciamento, con un aumento patologico di lavoro contrattile, di consumo di O2 e di compressione del microcircolo durante la diastole. Il risultato, in estrema sintesi, è che l’ischemia determina un peggioramento dell’ischemia. Ranolazina agisce bloccando selettivamente i canali lenti del Na, che in condizioni normali hanno una attività trascurabile, mentre in condizioni patologiche (come nell’ischemia) sono alla base del circolo vizioso descritto nella Figura 1. Gli studi clinici principali (Figura 2) che hanno documentato l’efficacia anti anginosa di ranolazina sono identificati con gli acronimi MARISA (Monotheraphy Assessment of Ranolazine in Stable Angina: Ranolazina vs. placebo), CARISA (Combination Assessment of Ranolazine in Stable Angina: in aggiunta a Beta-bloccante o Ca-antagonista a dose terapeutica efficace), ERICA (Efficacy of Ranolazine in Chronic Angina: in associazione ad Amlodipina on top) nei quali sono stati documentati gli effetti significativi sull’angina e sull’innalzamento della soglia di ischemia da sforzo, dimostrando anche l’assenza di effetto emodinamico (non modificando cioè frequenza cardiaca e pressione arteriosa) e l’efficacia del dosaggio di 750 mg due volte al giorno. Il trial MERLIN TIMI 36 (Metabolic Efficiency with Ranolazine for Less Ischemia in Non ST elevation acute coronary syndrome) ha valutato l’efficacia dell’aggiunta di ranolazina alla terapia standard nella sindrome coronarica, sia in acuto che in cronico. Nell’intera casistica (complessivamente di oltre 6.000 pazienti) l’end point primario (morte cardiovascolare, IM o ischemia ricorrente) non si è ridotto in maniera significativa; tuttavia, la terapia con ranolazina ha ridotto significativamente l’ischemia ricorrente confermando l’efficacia del farmaco nella cardiopatia ischemica cronica. La disponibilità di un questo nuovo farmaco ha fatto emergere una serie di quesiti sull’uso clinico: analizziamo di seguito alcuni tra i più frequenti. In quali pazienti è indicata Ranolazina? Prima di tutto in tutti quei pazienti con angina cronica stabile che, trattati con altri farmaci, risultano non efficacemente controllati, aggiungendo benefici clinici senza alterare la situazione emodinamica, sia nel paziente rivascolarizzato che non rivascolarizzato. Ranolazina può essere aggiunta a Ca-antagonisti, a beta-bloccanti o a nitrati in caso di sintomi persistenti, oppure può sostituire altre molecole, ad esempio in pazienti che hanno controindicazioni o intolleranza all’uso di beta-bloccanti o Ca-antagonisti o che non possono raggiungere le dosi terapeutiche ad esempio per eccessiva riduzione della pressione o della frequenza cardiaca. Ci sono evidenze in ambito clinico di effetti sulla perfusione miocardica o sulla funzione ventricolare? Sono stati documentati su casistiche con limitata numerosità, ma valutate con metodologie accurate. In uno studio condotto su pazienti con ischemia da sforzo, valutati mediante scintigrafia miocardica, l’aggiunta di ranolazina ha dimostrato una significativa riduzione di estensione e gravità dei difetti di perfusione indotti dallo stress; un recentissimo lavoro in cui è stata utilizzata l’ecocardiografia ha documentato, dopo un mese di trattamento in aggiunta alla abituale terapia, un significativo miglioramento sia della funzione sistolica che diastolica. Ha anche un effetto antiaritmico, e perchè? Nelle analisi dei principali studi clinici finora condotti, sono state osservate riduzioni sia delle aritmie ventricolari che atriali. La spiegazione è complessa: nel ventricolo verosimilmente perché stabilizza la ripolarizzazione e previene i fenomeni legati alla instabilità dello store di calcio; nell’atrio si comporta come un anestetico locale di classe IA atrio-selettivo a causa di caratteristiche specifiche dei canali del Na atriale. Ciò rende ragione dei numerosi studi in corso sull’uso clinico di ranolazina nella prevenzione o trattamento delle aritmie atriali. Negli anziani è altrettanto efficace? Ci sono maggiori effetti collaterali? I risultati ottenuti in pazienti di età maggiore di 70 anni con angina cronica su durata dell’esercizio, tempo di comparsa del sottoslivellamento ST e dell’angina, hanno documentato una efficacia di ranolazina paragonabile a quella delle classi di età inferiore. Tra gli effetti collaterali sono significativamente più frequenti negli anziani, anche se limitati, la stipsi e la nausea. Ci sono differenze con ivabradina? Ranolazina presenta un meccanismo d’azione completamente differente rispetto agli attuali farmaci anti-ischemici e anche rispetto ad ivabradina. Sebbene non ci siano ancora studi specifici, l’associazione tra queste due molecole sembra senz’altro possibile per la non interferenza su pressione e frequenza di ranolazina, naturalmente monitorizzando le prime fasi di assunzione ed iniziando per entrambi i farmaci con il dosaggio più basso. Quali sono i dosaggi? Come si prescrive? In Europa sono previsti 3 dosaggi: 375mg, 500mg e 750mg con doppia somministrazione giornaliera. L’EMEA ha previsto come dosaggio iniziale 375 mg, per garantire una migliore titolazione del farmaco. Dopo 2-4 settimane è indicato incrementare la dose, fino ai 750mg. La prescrizione avviene tramite piano terapeutico: la revisione apportata il 30 ottobre 2010 lo ha semplificato (togliendo l’obbligo a compilare voci incongrue previste nella prima versione) prevedendola “come terapia aggiuntiva per il trattamento sintomatico di pazienti con angina pectoris cronica stabile inadeguatamente controllati o intolleranti alla terapia antianginosa”.
Francesco Fattirolli Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica Università di Firenze Az. Osp. Universitaria Careggi
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Leggendo questa nota, verrebbe da chiedersi se il farmaco può essere indicato anche nei pazienti affetti da scompenso cardiaco per disfunzione diastolica, con o senza ischemia miocardica...
Leggendo questa nota, verrebbe da chiedersi se il farmaco può essere indicato anche nei pazienti affetti da scompenso cardiaco per disfunzione diastolica, con o senza ischemia miocardica...
giuseppe calcaterra
Se son rose...
mia prima prescrizione...vedremo...
Recentemente ad un paziente (affetto da angina in bypassato) ho sostituito la trimetazidina (che il paziente assumeva con scarso o nullo beneficio) con ranolazina, ottenendo un notevole beneficio alla dose di 500x2.