OLTRE OGNI CERTEZZA

L’efficacia dell’ICD nella prevenzione della morte improvvisa è evidence based medicine ma alcune problematiche nella gestione dei pazienti con ICD rimangono aperte.

4-2010-15-1La morte cardiaca improvvisa (MI) rappresenta un grave e grande problema medico e socio-eco­nomico in quanto ogni anno col­pisce circa 1 persona su 1.000 ed è una delle cause più frequenti di decesso nelle popolazioni eco­nomicamente più sviluppate. Solitamente la MI è causata da un arresto cardiaco conseguente ad una tachicardia ventricolare sostenuta ed emodinamicamente non tollerata o ad una fibrillazione ventricolare riconducibili in circa l’80% dei casi ad un’origine ischemica (Fi­gura 1) e che portano rapidamente al de­cesso a meno che non venga somministrata una terapia adeguata entro pochi mi­nuti dal lo­ro esordio. Purtroppo l’arresto cardiaco av­viene nella maggioranza dei casi al di fuori dell’ospedale e solo il 5% dei soggetti colpiti riesce a so­prav­vi­vere. La scarsa efficacia della te­rapia medica nella prevenzione del­la MI ha portato negli ultimi 10 anni alla realizzazione di studi rivolti alla ricerca e alla messa a punto di terapie alternative al farmaco tra le quali il defibrillatore impiantabile (ICD) ricopre certamente un ruolo leader nel ridurre la mortalità totale e improvvisa. Tali risultati sono sta­ti uno spunto prezioso per la revisione delle linee guida americane, europee ed italiane che hanno posto l’ICD in classe I non solo in prevenzione secondaria, ma anche per la prevenzione primaria di MI in pazienti con disfunzione sistolica severa, aspettativa di vita di almeno 12 mesi, a 40 giorni da un infarto miocardico, a 3 mesi da un in­tervento di rivascolarizzazione miocardica chirurgica e dopo opportuna ottimizzazione della terapia medica. Ma cosa succede nella pratica clinica? Quali sono gli aspetti che tengono accesi i dibattiti clinici nel­la no­stra pratica quotidiana? A fron­te di una di­mostrata efficacia dell’ICD i problemi aperti rimangono an­co­ra tanti: dall’identificazione de­gli stra­ti­fi­ca­to­ri prognostici del rischio di mor­te improvvisa, all’impatto psicologico che l’impianto di un defibrillatore determina nei pa­zienti, ai problemi di carattere etico ed a quelli di carattere economico. Uno degli argomenti più dibattuti sembra essere l’identificazione del paziente a rischio di MI per cui, ad oggi, viene riconosciuta solo la frazione d’eiezione del ventricolo sinistro (FE) come miglior stratificatore, ma non può essere considerato un parametro sufficiente perché, an­che se nei pazienti con ridotta FE l’incidenza di MI è indubbiamente alta, il numero assoluto di morti im­provvise che si verificano in questa classe di pazienti è certamente basso rispetto al numero as­soluto delle morti improvvise in una determinata popolazione ge­ne­rale (Figura 2). 4-2010-15-2Tra i potenziali fattori predittivi di MI, solo l’alternanza dell’onda T e la durata del QRS sembrano essere i più promettenti. La ricerca di ulteriori pa­rametri di stratificazione dei pa­zienti con FE solo moderatamente depressa o normale costituirà una delle sfide del prossimo futuro. In­tan­to, continuano a suscitare in­teresse età avanzata all’impianto, comorbilità e stadio dello scompenso cardiaco come elementi di possibile controindicazione all’impianto di un ICD. In­fatti, come riportato da sottoanalisi degli studi MADIT (Mul­ticenter Automatic De­fi­bril­la­tor Implantation Trial) I e II e dallo studio SCDHeFT (Sudden Cardiac Death in Heart Fai­lure Trial), età avanzata, intesa come età maggiore di 80 anni ma probabilmente già per età maggiori di 75 anni, ripetuti episodi di scompenso cardiaco, soprattutto se in presenza di in­sufficienza renale, una FE severamente compromessa (<20%) ed una classe NYHA avanzata (≥ III), costituiscono importanti fattori che riducono significativamente ed a breve termine i vantaggi potenziali dell’impianto di un defibrillatore. Tutto ciò porta ad esaltare l’importanza della selezione del paziente sia al fine di identificare, tra i soggetti con disfunzione sistolica se­vera, quali si gioveranno di più di un device im­piantato, sia per preparare il paziente ad una nuova convivenza con un apparecchio che, se da una parte allungherà la sua sopravvivenza, dall’altra potrà essere un inquilino poco gradito. È noto dalla letteratura, in­fatti, che la prevalenza di problemi psicologici tra i portatori di ICD si aggira tra il 15 ed il 60% e comprende sia disordini d’ansia, tra cui agorafobia ed attacchi di panico, che di de­pressione legati al senso di dipendenza da uno strumento salvavita, timore di sprogrammazione del ge­ne­ra­tore, limiti alla guida, ne­cessità di controlli periodici e, non da ultimo, il timore di ricevere uno shock, sia appropriato che non ap­propriato. Inoltre, nell’ambito del­la gestione del paziente portatore di ICD non vanno dimenticate le possibili complicanze legate all’impianto che possono essere precoci (pneumotorace, emotorace, tamponamento cardiaco) variabili tra 1,3 e 8% e tardive (rottura di catetere, infezioni della tasca e possibile endocardite…) variabili tra 4,4 e il 9% dei casi, anch’esse fonte di possibile deterioramento della qualità della vita per i pazienti e causa di sovra utilizzo di risorse umane ed economiche per gli ospedali. L’au­men­to del numero e delle complessità dei dispositivi impiantati, in associazione al­le crescenti difficoltà di gestione clinica dei pazienti, sta mettendo a dura prova la capacità degli ambulatori cardiologici dedicati di effettuare adeguati controlli nel follow-up, anche perché in tali pazienti il controllo periodico delle funzioni del dispositivo non può essere disgiunto da una valutazione clinica integrata. 4-2010-15-3È stato calcolato che, al tasso at­tuale di crescita, il numero dei controlli ambulatoriali dei portatori di defibrillatore raddoppierà nei prossimi cinque anni (Figura 3) andando a saturare le risorse ospedaliere. Il rapido sviluppo del­le telecomunicazioni e la loro ap­plica­zio­ne in Sanità hanno determinato un vorticoso progresso del­la telemedicina e della telecardiologia in particolare. Negli anni più recenti, la tecnologia delle telecomunicazioni è stata applicata an­che al controllo dei dispositivi im­pian­ta­bili che attualmente hanno una notevole capacità di memoria permettendo di analizzare, a ca­denza giornaliera, non solo le prestazioni elettriche del dispositivo (batteria, impedenza, sensing, sta­to dei circuiti), ma an­che dati relativi alle aritmie spontanee (atriali e ventricolari) e allo stato clinico del paziente (frequenza cardiaca, attività fisica, tono neurovegetativo, congestione polmonare) e di riceverle in tempo reale nei centri adibiti al controllo. Di­spor­re su base quotidiana di questo tipo di informazioni, invece di at­ten­de­re il follow-up ambulatoriale, con­sente di reagire prontamente a variazioni dello stato clinico, suggerendo modifiche della te­rapia farmacologica e comportamentale che potrebbero evitarne l’aggravamento, prevenire eventi avversi ed evitare, quando possibile, accessi al pronto soccorso e magari ricoveri ospedalieri non essenziali. Inol­tre, il monitoraggio remoto può evitare o ridurre gli accessi ambulatoriali per i controlli programmati, dato che appare particolarmente vantaggioso per i pazienti che risiedono lontano dall’ospedale, per quelli con patologie invalidanti che limitano le loro capacità di spostamento e per quelli, viceversa ancora attivi, che devono perdere ore di lavoro. Tutto ciò si riflette su un potenziale ri­sparmio per le famiglie e per la Sanità stessa. I progressi tecnologici e culturali so­no stati molti negli ultimi anni, soprattutto nel campo dell’elettrofisiologia e cardiostimolazione, materie che hanno vissuto e tuttora vivono momenti di revisione critica e di forte crescita. Molti sono, però, gli interrogativi che restano ir­risolti so­prat­tut­to quando si tratta di presidi “salvavita” e im­pegnano quotidianamente me­dici e amministratori nella ri­cer­ca dell’intervento più co­sto/ef­ficace, più promettente in termini di miglioramento del­la so­pravvivenza e della qualità della vita. Ma la “qualità della morte” è un’altra questione.

Sergio Cerisano - Marzia Giaccardi
Ospedale Santa Maria Nuova.
Dipartimento di Cardiologia
ASL 10 Firenze

 
ANTONIO PROVENZANO
Ottimo articolo: mi congratulo con gli autori!
inserito il: 10-02-2011 20:34
 
 
MASSIMO RUGGIERO
Concordo: ottimo articolo. Domanda: secondo voi quando e se saranno aggiornate le linee guida su ICD/CRT relativamente ad età e comorbidità?
inserito il: 12-02-2011 09:20
 
 
MARIO UGO MIRABELLA
bell articolo .Bisogna lavorare sui costi di gestione degli ICD e sulle loro complicanze
inserito il: 13-02-2011 08:15
 
 
PATRIZIO ORAZZO
Complimenti agli autori per l'articolo,oggi il controllo remoto ci permette di evitare ricoveri solo chiamando il paziente in ambulatorio e fare degli aggiustamenti terapeutici. Magari con il tempoa la prestazione sarà riconosciuta con un DRG
inserito il: 13-02-2011 13:50