ESTRAZIONE NECESSARIA

Dopo tanti anni, gli elettrocateteri di PM/ICD possono mostrare segni di cedimento... Principali problemi ed esperienze nell’estrazionee sostituzione degli elettrocateteri.

4-2010-16-1Dal 1980 a oggi, si è visto crescere in maniera esponenziale il numero degli interventi di impianto di dispositivi (pacemaker e defibrillatori) conside­rati indispensabili nel trattamento delle patologie del ritmo cardiaco di tipo sia ipocinetico sia ipercinetico. Notevoli progressi tecnologici sono stati compiuti con la presenza sul mercato di vari mo­del­li con differente modalità di sti­molazione: pacemaker in fun­zione VVIR monocamerali con un solo elettrocatetere da stimolazione posizionato in apice del ventricolo destro; pa­cemaker in funzione DDDR bicamerale con due elettrocateteri da stimolazione posizionati in atrio destro e apice del ventricolo destro; ICD con elettrocatetere da stimolazione e defibrillazione; pacemaker/ICD bi­ventricolari resincronizzanti, molto utilizzati in questi ultimi anni per la terapia dello scompenso cardiaco, con elettrocateteri da stimolazione in atrio destro, ventricolo destro e seno coronarico; pacemaker in stimolazione bifocale o polifocale con l’utilizzo di siti d’impianto alternativi, tuttora al vaglio scientifico. Pro­por­zionalmente al numero di dispositivi im­pian­tati, si evidenzia un incremento del numero di elettrocateteri da stimolazione talora molto diversi tra di loro per caratteristiche tec­niche, materiali, resistenza al­­la trazione, ri­vestimento, mo­dalità di fissazione, diametro e funzione. Con il notevole in­cre­mento del nu­mero e della qualità delle proce­dure di impianto di pacemaker/ICD, ci si è posti il problema delle possibili complicanze precoci e tar­dive di tipo infettivo o da mal­funzionamento in cui la ri­mozione di tutto o parte del si­ste­ma di stimolazione risulta essere l’unica terapia utile nel ga­rantire una completa guarigione. Diversi autori concordano nel ritenere che il 2-5% circa degli impianti di pacemaker possa presentare, a distanza di tempo, problemi di tipo infettivo o da malfunzionamento. 4-2010-16-2La presenza di elettrocateteri posizionati attraverso il sistema venoso nelle camere cardiache ha evidenziato la problematica della loro eventuale rimozione, dopo diversi anni di permanenza in sede, per la presenza di aderenze fibrotiche o fi­bro­calcifiche, talora molto estese, lungo tutto il decorso venoso e nel mu­sco­lo cardiaco. Tali aderenze spes­so si presentano in maniera co­sì estesa da ostruire completamente il lume vascolare, favorendo il manifestarsi di patologie, come la sindrome ostruttiva della vena succlavia e della vena cava, od ostruendo tutte le vie di accesso per il posizionamento di altri eventuali elettrocateteri da stimolazione. La sola rimozione della cassa del pacemaker e/o la revisione chirurgica della tasca, lasciando in situ gli elettrocateteri, non porta alla risoluzione del problema infettivo, ma a un ritardo nei tempi di guarigione, favorendo l’aggravarsi del­la malattia. La presenza di più elettrocateteri nel letto vascolare favorisce una maggiore incidenza di eventi trombotici e/o l’eventuale impianto di microrganismi patogeni. Un iniziale processo infettivo locale della tasca del pacemaker o la presenza di vegetazioni batteriche lungo il decorso possono evolvere, in un tempo più o meno lun­go, verso l’endocardite in­fet­ti­va (EI), grave complicanza che, se non risolta in tempi brevi, presenta indici di mortalità talora superiori al 50%. Prima dell’avvento delle attuali tecniche di rimozione transvenosa, l’unico rimedio valido era l’intervento cardiochirurgico con modalità invasive (sternotomia e toracotomia) eseguite in anestesia generale. 4-2010-16-3Questa tecnica consentiva di ottenere modesti ri­sultati, ma con lunghi tempi di degenza e guarigione. Uno dei fattori limitanti per il cardiochirurgo era il non facile approccio ai grossi vasi superiori (ve­na succlavia, vena cava). Le succes­sive tecniche di rimozione me­diante trazione manuale ag­gressiva, con bande elastiche o pesi presentavano più complicanze (infezioni o traumi gravi, fratture o frammentazioni de­gli elet­trocatete­ri) che risultati po­­sitivi; pertanto, sono state sconsi­gliate e ge­neralmente ab­bando­nate. Dal 1990 a oggi, progres­si­va­mente e costantemente, si sono sviluppate varie tecniche di rimozione degli elettrocateteri che utilizzano esclusivamente la via transvenosa attraverso le vene succlavia sinistra e destra, giugulare destra e femorale de­stra. Per la rimozione degli elettrocateteri vengono utilizzate le seguenti tecniche: Laser, Ra­di­fre­quenza e ma­nuale in base alla personale scelta dell’operatore. La presenza del Car­dio­chirurgo, del Chi­rurgo toracico o chirurgia idonea, come con­siglia il protocollo na­zio­na­le, resta comunque di no­tevole importanza per tutte quelle condizioni che impediscono la rimozione transvenosa o per le eventuali complicanze (tam­po­namento cardiaco, rottura cardiaca, lesione dei grossi va­si), sempre possibili e spesso non facilmente preventivabili. La tecnica di rimozione transvenosa, pur essendo una tecnica complessa, emodinamicamen­te cruenta e talora non esente da complicanze gravi o mortali, va attualmente considerata la me­todica principe per la rimozione degli elettrocateteri infetti o danneggiati e per la risoluzione di sepsi gravi o malfunzionamenti a essi associati. È ampiamente dimostrato che la non rimozione spesso espone il pa­ziente a gravi problemi setticemici, con lunghe e inutili te­ra­pie antibiotiche, e che le stesse terapie, una volta rimosso il cor­po estraneo infetto, presentano maggiore efficacia e possibilità di successo. Come per tut­te le tecniche cardiologiche in­vasive, si consiglia che venga praticata presso centri altamente specializzati e dedicati, tenendo conto delle linee guida e dei protocolli nazionali (AIAC 2004).

Giuseppe M. Calvagna
Divisione di Cardiologia
Ospedale San Vincenzo di Taormina-Messina