Per vincere la sfida al paziente con ipertensione arteriosa non controllata necessari: automisurazione e terapia di combinazione. Presto disponibili le associazioni tra farmaci agenti sul RAAS e calcio-antagonisti diidropiridinici.
Nel mondo l’incidenza dell’ipertensione arteriosa (IA) è elevata e continuerà ad aumentare in considerazione del crescere della vita media e dell’obesità nella popolazione. La relazione tra IA e rischio di malattie cardiovascolari è stata ben definita in questi ultimi anni. Secondo le correnti linee guida europee per il management dell’IA, il goal pressorio è l’obiettivo da raggiungere con il trattamento per ridurre il rischio cardiovascolare (CV), goal definito come la riduzione della PA al di sotto di140/90 mmHg in tutti i pazienti e al di sotto di valori più bassi, se tollerati, in quelli ad elevato grado di rischio assoluto CV. Il livello effettivo di raggiungimento del goal pressorio rimane generalmente scarso nella pratica clinica. Il paziente difficile, ovvero “non a target”, rappresenta la moderna sfida per ridurre l’impatto socio economico dell’ipertensione non controllata e impone di definire azioni di attacco a quelle che oggi sono considerate le cause del mancato controllo pressorio. Una maggiore motivazione del paziente alle modifiche dello stile di vita, un’accurata automisurazione domiciliare della pressione arteriosa e la semplificazione della terapia potrebbero contribuire a cambiare l’attuale situazione critica dell’ipertensione non controllata in Europa. Un recente consensus tra esperti europei e statunitensi, pubblicato su Lancet (Lancet vol. 373 March 14, 2009), ha sottolineato l’importanza dell’automisurazione domiciliare (HBPM) e ne ha indicato i vantaggi: un miglior controllo della pressione arteriosa durante il trattamento, un alto significato prognostico, una migliore definizione diagnostica di sottotipi di ipertensione arteriosa a differente grado di rischio CV (l’ipertensione da camice bianco e l’ipertensione mascherata) e una dimostrata riduzione di visite mediche e dunque dei costi delle cure a lungo termine. La HBPM, inoltre, ha dimostrato che incoraggiare i pazienti a responsabilizzarsi sulla propria salute cardiovascolare corrisponde ad una più forte volontà di modificare il proprio stile di vita e ad una miglior aderenza terapeutica. Infine, i risultati dello studio TeleBPcare (Home blood pressure telemonitoring improves hypertension control in general practice) evidenziano una maggiore compliance del paziente e un superiore controllo della PA quando HBPM è combinata alla sua teletrasmissione. Numerose evidenze dimostrano che la monoterapia spesso non è sufficiente e la maggioranza dei pazienti richiede due o più farmaci antipertensivi per raggiungere il goal pressorio e quindi per ridurre il rischio CV. La combinazione di agenti appartenenti a diverse classi di farmaci antipertensivi con meccanismi d’azione complementari e sinergici è un metodo provato per aumentare l’efficacia antipertensiva senza aumentare significativamente il rischio di effetti collaterali indesiderati tipici della monoterapia. Le associazioni di farmaci più comunemente utilizzate e che hanno dimostrato effetti benefici sono quelle tra i bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAASb) e i diuretici o i calcio antagonisti (CCB). La combinazione tra RAASb e CCB offre un promettente e potente nuovo approccio di trattamento in quanto ha mostrato una maggiore riduzione degli eventi CV in relazione non solo al più stretto controllo pressorio, ma anche alle specifiche proprietà di protezione d’organo delle due classi di farmaci associati: vascolare per i CCB, renale e cardiaca per RAASb. Inoltre, tale combinazione ha dimostrato di ridurre gli effetti collaterali connessi ai CCB diidropiridinici come ad esempio l’edema periferico degli arti inferiori. Infatti, il blocco dei canali del calcio, in monoterapia, induce una rilevante vasodilatazione periferica a livello delle arteriole precapillari ed una minore dilatazione delle venule post capillari, da ciò scaturisce un incremento della pressione intracapillare che favorisce il trasferimento di liquidi dai capillari ai tessuti con conseguente edema periferico. La contemporanea somministrazione ai CCB, di Antagonisti Recettoriali dell’Angiotensina II (ARB) o di ACE-Inibitori determina una maggiore dilatazione delle venule post capillari con conseguente riduzione della pressione intracapillare e quindi dell’edema agli arti inferiori. L’associazione tra l’olmesartan (OLM), un bloccante del recettore AT I dell’angiotensina II e l’amlodipina (AML), un calcio-antagonista diidropiridinico, è tra le più nuove combinazioni fisse di antipertensivi che presto saranno disponibili anche in Italia. L’efficacia di questa associazione è stata valutata nello studio COACH (Combination of Olmesartan medoxomil and Amlodipine besylate in Controlling High blood pressure). In questo studio, 1.940 pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo o uno dei seguenti trattamenti attivi: monoterapia con olmesartan in dosi di 10, 20 o 40 mg, monoterapia con amlodipina in dosi di 5 e 10 mg o la terapia di combinazione (che includeva tutte le combinazioni ottenibili dalle dosi di monoterapia dell’olmesartan e dell’amlodipina). Dopo 8 settimane è stata osservata, in tutti i gruppi di trattamento, una significativa riduzione rispetto al basale della pressione arteriosa diastolica (PAD) e sistolica (PAS) e una maggiore e più rapida efficacia della terapia di combinazione con OLM /AML rispetto alla monoterapia. Nei soggetti trattati con la più alta dose di associazione OLM/ AML 40/10 mg si è ottenuta la maggiore riduzione della sistolica (- 30.1 mmHg) e della diastolica (- 19.0 mmHg) rispetto ai gruppi di soggetti trattati con le combinazioni a dosi più basse (Figura 1). Inoltre, il maggiore dosaggio di associazione ha determinato la più alta percentuale di soggetti che hanno raggiunto, in 8 settimane, il goal pressorio (PA <140/90 mmHg) (Figura 2). Lo studio COACH ha dimostrato che la terapia di combinazione è stata ben tollerata e la combinazione ha determinato anche una minore incidenza e gravità dell’edema periferico rispetto alla monoterapia con amlodipina; è importante evidenziare che l’aggiunta di dosi crescenti di olmesartan (10, 20, 40 mg) all’amlodipina 10 mg ha determinato una progressiva riduzione dell’incidenza di edema raggiungendo il valore del 54% quando olmesartan 40 mg è stato associato all’amlodipina 10 mg (Figura 3). Altri studi, condotti anche in soggetti con ipertensione severa, hanno confermato non solo l’efficacia e la rapidità del raggiungimento del target pressorio, ma anche l’elevata tollerabilità della combinazione tra l’olmesartan e l’amlodipina. In conclusione, con la necessità di realizzare un persistente e più efficace controllo della pressione arteriosa, l’uso nella pratica clinica dell’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa e della combinazione fissa, in particolare quella a base di RAASb e CCB, può rappresentare una valida opzione per vincere la sfida al paziente difficile.
Valerio Pecchioli Direttore S.S.D. Prevenzione Cardiovascolare Dipartimento Scienze Mediche ASL Frosinone
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