VERSO IL GOAL PRESSORIO!

Per vincere la sfida al paziente con ipertensione arteriosa non controllata necessari: automisurazione e terapia di combinazione. Presto disponibili le associazioni tra farmaci agenti sul RAAS e calcio-antagonisti diidropiridinici.

4-2010-17-1Nel mondo l’incidenza dell’iperten­sione arteriosa (IA) è elevata e continuerà ad aumentare in con­siderazione del crescere del­la vita media e dell’obesità nella po­po­la­zi­one. La relazione tra IA e ri­schio di malattie cardiovascolari è stata ben definita in questi ultimi anni. Secondo le correnti linee gui­da europee per il management dell’IA, il goal pressorio è l’obiettivo da raggiungere con il trattamento per ridurre il rischio cardiovascolare (CV), goal definito come la riduzione della PA al di sotto di140/90 mmHg in tutti i pa­zienti e al di sotto di valori più bas­si, se tollerati, in quelli ad elevato grado di rischio assoluto CV. Il livello effettivo di raggiungimento del goal pressorio rimane generalmente scarso nel­la pratica clinica. Il paziente difficile, ovvero “non a target”, rap­presenta la mo­derna sfida per ridurre l’impatto socio economico dell’ipertensione non controllata e impone di definire azioni di attacco a quelle che oggi sono considerate le cause del mancato controllo pressorio. Una maggiore motivazione del paziente alle modifiche dello stile di vita, un’accurata automisurazione domiciliare del­la pressione arteriosa e la semplificazione della terapia potrebbero contribuire a cambiare l’attuale situazione critica dell’ipertensione non controllata in Eu­ro­pa. Un recente consensus tra esperti europei e statunitensi, pubblica­to su Lancet (Lancet vol. 373 March 14, 2009), ha sottolineato l’importanza dell’automisurazione domiciliare (HBPM) e ne ha indicato i vantag­gi: un miglior controllo del­la pressione arteriosa durante il trattamento, un alto significato prognostico, una migliore definizione diagnostica di sottotipi di ipertensione arteriosa a differente grado di rischio CV (l’iper­tensione da camice bianco e l’ipertensione mascherata) e una dimostrata riduzione di vi­si­te mediche e dunque dei costi del­le cure a lungo termine. 4-2010-17-2La HBPM, inoltre, ha dimostrato che in­coraggiare i pazienti a res­pon­sabilizzarsi sulla propria sa­lute car­diovascolare corrisponde ad una più forte volontà di modificare il proprio stile di vita e ad una miglior aderenza terapeutica. In­fi­ne, i risultati dello studio Tele­BPcare (Home blo­od pressure te­le­mo­nito­ring im­proves hypertension con­­trol in general practice) evidenziano una maggiore compliance del pa­ziente e un superiore controllo della PA quando HBPM è combinata alla sua teletrasmissione. Numerose evidenze dimostrano che la monoterapia spesso non è sufficiente e la maggioranza dei pazienti ri­chiede due o più farmaci antipertensivi per raggiungere il goal pressorio e quindi per ridurre il rischio CV. La combinazione di agenti ap­partenenti a diverse classi di farmaci antipertensivi con meccanismi d’azione complementari e sinergici è un metodo provato per aumentare l’efficacia antiperten­­siva senza aumentare significativamente il rischio di effetti collaterali indesiderati tipici della monoterapia. Le associazioni di farmaci più comunemente utilizzate e che hanno dimostrato effetti benefici sono quelle tra i bloccanti del si­stema renina-angiotensina-al­do­sterone (RAASb) e i diuretici o i calcio antagonisti (CCB). La combinazione tra RAASb e CCB offre un promettente e po­ten­te nuovo approccio di trattamento in quanto ha mostrato una maggiore riduzione degli eventi CV in relazione non solo al più stretto controllo pressorio, ma anche alle specifiche proprietà di protezione d’organo delle due classi di farmaci as­sociati: vascolare per i CCB, renale e cardiaca per RAASb. In­ol­tre, tale combinazione ha dimostrato di ridurre gli effetti collaterali connessi ai CCB diidropiridinici come ad esempio l’edema per­iferico degli arti inferiori. Infatti, il blocco dei canali del calcio, in mo­no­te­ra­pia, induce una rilevante vasodilatazione periferica a li­vello delle arteriole precapillari ed una minore dilatazione delle venule post capillari, da ciò scaturisce un incremento della pressione intracapillare che fa­vo­risce il trasferimento di liquidi dai ca­pillari ai tessuti con conseguente ede­ma periferico. La contemporanea somministrazione ai CCB, di An­ta­go­ni­sti Re­cet­toriali del­l’An­gio­ten­sina II (ARB) o di ACE-Ini­bitori determina una mag­­giore dilatazione delle ve­nu­le post ca­pillari con conseguente ri­du­zione del­la pressione intracapillare e quindi dell’ede­ma agli arti inferiori. 4-2010-17-3L’as­so­ciazione tra l’olmesartan (OLM), un bloccante del recettore AT I dell’angiotensina II e l’amlodipina (AML), un calcio-an­tagonista diidropiridinico, è tra le più nuove combinazioni fisse di antipertensivi che presto saranno disponibili an­che in Italia. L’ef­fi­cacia di questa associazione è sta­ta valutata nello studio COACH (Com­bina­tion of Ol­­me­sar­tan medoxomil and Am­­­lo­di­pine be­sy­late in Con­trol­ling High blood pressure). In questo studio, 1.940 pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo o uno dei seguenti trattamenti at­tivi: monoterapia con olmesartan in dosi di 10, 20 o 40 mg, monoterapia con amlodipina in dosi di 5 e 10 mg o la te­ra­pia di combinazione (che in­clu­deva tut­te le combinazioni ottenibili dalle dosi di monoterapia dell’olmesartan e dell’amlodipina). Dopo 8 settimane è sta­ta osservata, in tutti i gruppi di trattamento, una significativa riduzione ri­spetto al basale della pressione arteriosa diastolica (PAD) e sistolica (PAS) e una maggiore e più rapida efficacia della terapia di combinazione con OLM /AML rispetto alla mo­no­terapia. Nei soggetti trattati con la più al­ta dose di associazione OLM/ AML 40/10 mg si è ottenuta la maggiore riduzione della sistolica (- 30.1 mmHg) e della diastolica (- 19.0 mmHg) rispetto ai gruppi di soggetti trattati con le combinazioni a do­si più basse (Figura 1). Inoltre, il mag­giore dosaggio di associazione ha determinato la più alta percentuale di soggetti che hanno raggiunto, in 8 settimane, il goal pressorio (PA <140/90 mmHg) (Figura 2). Lo studio COACH ha dimostrato che la terapia di combinazione è stata ben tollerata e la combinazione ha determinato anche una mi­no­re incidenza e gra­vità dell’ede­ma periferico ri­spetto alla monoterapia con amlodipina; è importante evidenziare che l’aggiunta di dosi crescenti di olmesartan (10, 20, 40 mg) al­l’am­­lodipina 10 mg ha determinato una progressiva riduzione del­l’in­ci­den­za di edema raggiungendo il valore del 54% quando olmesartan 40 mg è stato associato al­l’amlodipina 10 mg (Fi­gura 3). Altri studi, condotti anche in soggetti con ipertensione severa, hanno confermato non solo l’efficacia e la rapidità del raggiungimento del target pressorio, ma anche l’elevata tollerabilità della combinazione tra l’olmesartan e l’amlodipina. In conclusione, con la necessità di realizzare un persistente e più efficace controllo della pressione ar­teriosa, l’uso nella pratica clinica dell’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa e della combinazione fissa, in particolare quella a base di RAASb e CCB, può rappresentare una valida opzione per vincere la sfida al paziente difficile.

Valerio Pecchioli
Direttore S.S.D.
Prevenzione Cardiovascolare
Dipartimento Scienze Mediche
ASL Frosinone