BRAINSTORMING SULLA SFIDA AL RISCHIO RESIDUO CV

Nella prevenzione cardiovascolare fondamentali la stratificazione del rischio CV e l’azione terapeutica sia farmacologica che sullo stile di vita.

11-1-2011Il Workshop “Stratificazione del Rischio CV e Terapie di Prevenzione” ha riunito insieme a Berlino un gruppo di esperti europei per discutere sulla valutazione del rischio cardiovascolare quale strumento essenziale per orientare il trattamento farmacologico. Il workshop si è focalizzato sulle seguenti tematiche: 1. L’attuale gestione dei fattori di rischio cardiovascolare; 2. Il concetto di rischio cardiovascolare residuo in soggetti in cui attraverso il trattamento farmacologico si sia raggiunto un controllo ottimale del colesterolo LDL, della pressione arteriosa e del diabete mellito; 3. I nuovi marcatori di rischio CV. Lo scopo di questo documento è quello di riassumere i punti chiave che sono emersi durante questo “brainstorming” meeting. Nel corso degli anni i risultati della ricerca clinica hanno sottolineato l’importanza dei fattori di rischio cardiovascolare nel determinare eventi avversi maggiori quali l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale. A tale proposito molti studi hanno focalizzato l’attenzione sull’impatto del singolo fattore di rischio e sull’azione sinergica che i vari fattori di rischio esercitano quando coesistono nello stesso individuo. A conferma di ciò, lo studio INTERHEART (Effect of potentially modifiable risk factors associated with myocardial infarction in 52 countries), che ha analizzato le caratteristiche di circa 15.000 pazienti con infarto del miocardio, ha osservato come l’insieme di alcuni fra i più comuni fattori di rischio (dislipidemia, diabete, ipertensione, fumo, obesità addominale, errate abitudini dietetiche, scarsa attività fisica) renda conto per oltre il 90% del rischio di infarto miocardico (Figura 1). Ne consegue che il trattamento dei fattori di rischio sopraelencati, in accordo con i risultati di altri studi di prevenzione, determina un impatto decisivo in termini di riduzione del rischio di eventi. Grazie agli importanti progressi in campo farmacologico e clinico, la mortalità per malattie cardiovascolari si è progressivamente ridotta nel tempo. Nonostante ciò, l’incidenza di eventi (infarto miocardico, ictus) nella popolazione generale, e soprattutto in quella di soggetti ad alto rischio, rimane ancora elevata. Dai grandi trial clinici di intervento emerge come un trattamento intensivo ed efficace dei fattori di rischio modificabili non sia sufficiente a ridurre in modo soddisfacente gli eventi. Inoltre, i progressi degli ultimi decenni fatti nell’ambito della prevenzione delle malattie cardiovascolari appaiono seriamente compromessi dalla diffusione di obesità, sindrome metabolica e diabete mellito di tipo 2 (T2DM). A questo riguardo, le attuali Linee Guida per la prevenzione delle malattie cardiovascolari sottolineano l’importanza di interventi multifattoriali, volti al raggiungimento dei valori target per il colesterolo-LDL, la pressione arteriosa ed il controllo glicemico. Tuttavia, come dimostrato dallo studio STENO-2 (Multifactorial intervention and cardiovascular disease in patients with type 2 diabetes), un intervento multifattoriale non è in grado di prevenire lo sviluppo e la progressione delle complicanze vascolari in più del 50% dei pazienti affetti da T2DM. Da numerosi studi clinici prospettici è emerso che, sebbene il trattamento ipocolesterolemizzante con statine costituisca la pietra miliare della gestione delle dislipidemie, persiste un significativo rischio di malattie cardiovascolari (Figura 2). 12-1-2011La meta-analisi dei Cholesterol Treatment Trialists’ Collaborators condotta su 90.056 pazienti di 14 trial randomizzati ha confermato la sicurezza e l’efficacia della terapia con statine nel ridurre l’incidenza dell’end point composito di infarto del miocardio non fatale, rivascolarizzazione coronarica e morte coronarica. Una analisi dei soli 18.686 pazienti diabetici ha dimostrato che il loro rischio cardiovascolare residuo resta particolarmente elevato nonostante la terapia con statine. Questo perché il diabete mellito e la sindrome metabolica sono classicamente associati ad un pattern lipidico particolare, definito dislipidemia aterogena, con trigliceridi (TG) elevati e bassi livelli di HDL-C. Anche l’utilizzo di dosi massimali di statine, che comporta un ulteriore abbassamento dei livelli di LDL-C, non riesce ad eliminare il rischio residuo. Emerge quindi la necessità di ricercare migliori strategie terapeutiche per ottimizzare la gestione dei pazienti dislipidemici già in terapia con statine. Esistono ormai molte evidenze che mostrano come TG elevati e basso HDL-C siano entrambi predittori indipendenti di malattia cardiovascolare (CVD). Infatti, nello studio PROCAM (Prospective Cardiovascular Munster) 1 paziente su 7 con un pattern lipidico caratterizzato da un elevato rapporto Col Tot/HDL-C, HDL-C basso ed elevati TG è stato colpito da un infarto del miocardio. Nei pazienti con T2DM e/o sindrome metabolica, mentre i livelli di LDL-C sono spesso normali o moderatamente elevati, la concentrazione di apo-B, espressione delle diverse lipoproteine aterogene che la contengono [VLDL, IDL, IDL remnants, LDL e lipoproteina(a)], è aumentata. A questo riguardo il recente documento di consenso dell’American Diabetes Association/American College of Cardiology per la gestione delle lipoproteine sottolinea la necessità di concentrarsi sui livelli di apo-B come componente del rischio residuo poichè la sola misurazione dei livelli di LDL-C non rappresenta a pieno il burden aterogeno delle particelle lipoproteiche che al loro interno contengono l’apo-B. Pur raggiungendo un livello di LDL-C <70 mg/dL, il rischio vascolare rimane più elevato del 40% in presenza di HDL-C basso (<35 mg/dL) o di TG elevati (≥200 mg/dL). 13-1-2011Infatti, la dislipidemia aterogena è associata ad un intenso stato proinfiammatorio che contribuisce al rischio vascolare residuo. Studi sperimentali hanno dimostrato che le VLDL, ricche in TG, attivano il fattore di trascrizione nucleare NF-kB che gioca un ruolo cruciale nel promuovere la disfunzione endoteliale e l’infiammazione vascolare. L’aumento dei livelli sistemici di marker infiammatori come la proteina C reattiva e diverse citochine è coinvolto anche nelle modificazioni qualitative che si realizzano a carico delle HDL con una attenuazione delle loro ben note proprietà di atero-protezione. Riflettere sulle ragioni di questo fenomeno è quindi un passaggio fondamentale per poter ottimizzare le future strategie di prevenzione sia primaria che secondaria. Oltre alla coesistenza nel singolo individuo di multipli fattori di rischio non sempre correttamente trattati, dobbiamo considerare la tempistica di intervento nonché il tempo di osservazione dei pazienti. L’efficacia di qualsiasi forma di intervento terapeutico, farmacologico o non, è certamente determinata dallo stadio naturale della malattia sul quale ci troviamo ad intervenire. Questo vuol dire che parte dell’inefficacia della terapia con statine all’interno dei megatrial è dovuta all’età avanzata dei soggetti arruolati, età in cui la malattia aterosclerotica potrebbe aver già compiuto gran parte della sua storia naturale. Probabilmente, un intervento precoce porterebbe a risultati più soddisfacenti in termini di riduzione del rischio cardiovascolare globale. Un altro aspetto da considerare è che gli studi di intervento con statine sopra menzionati sono stati in genere caratterizzati da un follow-up limitato nel tempo ed il maggiore beneficio della terapia si è osservato verso la fine del periodo di follow-up. Questo fa supporre che l’efficacia del trattamento in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari necessiti di un più lungo periodo di osservazione. L’entità del rischio residuo potrebbe essere inferiore per periodi di osservazione prolungati. Per un’ottimale stratificazione e gestione del rischio CV globale è opportuno, inoltre, comprendere i vantaggi e le limitazioni di una strategia volta ad associare i classici marcatori di rischio con quelli più recenti. I fattori di rischio, come fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa e ipercolesterolemia, continuano ad essere fondamentali per l’identificazione dei soggetti ad alto rischio per morbilità e mortalità cardiovascolare. È opportuno sottolineare però come lo studio INTERHEART abbia evidenziato l’importante ruolo svolto dallo stile di vita (consumo di frutta, vegetali, attività fisica) nel determinismo del rischio cardiovascolare. Una migliore stratificazione del rischio deve quindi prendere in considerazione anche lo stile di vita. Nei pazienti senza fattori di rischio classici che risultano obesi si dovrebbero intraprendere interventi appropriati sullo stile di vita per evitare che con il tempo diventino pazienti ad alto rischio. Una serie crescente di evidenze recenti indica che i biomarcatori dell’infiammazione, come la PCR, presentano un potere predittivo significativo. Rimane ancora non completamente caratterizzato il link tra infiammazione, aterogenesi e sue complicanze. A questo riguardo i risultati dello studio JUPITER (Rosuvastatin to prevent vascular events in men and women with elevated C-reactive protein) hanno indicato come l’identificazione di uno stato infiammatorio possa rappresentare un parametro valido per orientare il trattamento farmacologico in soggetti altrimenti considerati a basso rischio (Figura 3). Questo nuovo approccio può avere implicazioni molto importanti nell’ambito della prevenzione primaria degli eventi CV. Prendendo in esame l’utilità clinica delle informazioni derivanti dalla misurazione dei livelli di proteina C reattiva (PCR), è necessario considerare alcuni aspetti che sono ad oggi ancora oggetto di dibattito. La PCR definisce uno stato infiammatorio indipendentemente dalla causa. Questa osservazione ha ispirato la critica di aspecificità mossa contro questo biomarcatore. D’altro canto, la “non-specificità” della PCR potrebbe caratterizzare la sua utilità nella predizione del rischio. La PCR è in grado di integrare lo stato infiammatorio complessivo catturando alcuni aspetti che sarebbero difficilmente misurabili per via diretta. La PCR fornisce un “readout” globale di tutti gli elementi che costituiscono lo stile di vita e che sono stati dimostrati essere strettamente in relazione con il rischio CV, ma non sono attualmente presenti negli algoritmi ufficiali contenuti nelle varie carte del rischio. La generica ambivalenza, nel considerare la PCR sia come fattore di predizione del rischio che fattore di rischio alla stessa stregua dei livelli di LDL-C e dell’ipertensione, sta alla base del dibattito ancora in atto sul suo effettivo ruolo. In conclusione, la comparsa di nuovi marcatori del rischio illustra molto bene come l’avanzamento delle nostre conoscenze di base e nella medicina clinica possa condurre ad un tangibile miglioramento delle strategie di prevenzione. Esiste l’esigenza di ottimizzare la stratificazione del rischio per implementare strategie di intervento individualizzate. È inoltre opportuno sottolineare che i soggetti che sono obiettivo di una terapia con statine non devono diminuire la loro adesione ad uno stile di vita salutare ritenendo di godere di una sorta di immunità farmacologica dai comportamenti errati. Quindi, una effettiva e duratura modificazione dello stile di vita a livello individuale e nella società rimane parte integrante di una efficace strategia di prevenzione.

Francesco Cosentino - Enrico Perna
Cardiologia Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare
Università “Sapienza” - Ospedale Sant’Andrea – Roma

 
LUIGI SAVONA
Si ha l'impressione nella pratica corrente che i malati veri o presunti preferiscano un trattamento farmacologico che garantisca loro l"immunità completa". Il fatto è enfatizzato per ovvi motivi dalla strutture che scoprono e commerrcializzano i farmaci.
Non trascurare di sesibilizzare le persone che lo stile di vita dall'infanzia in poi è forse più importante della compressa, anche se qualche dato ematochimico impone di ricorrere anche all'impiego di farmaci.
luigi savona
inserito il: 04-03-2011 19:16
 
 
ENRICO MARIA GRECO
La prevenzione deve iniziare dalla nascita, dal primo giorno di Vita...ma chi lo fa? Si potrebbe cominciare ad evitare tutti i derivati animali, quali carne e grassi, laddove i nostri padri, con la Dieta Mediterranea bene misurata nella quantità e qualità, certo non potevano permettersi di uccidere una gallina o un bue al giorno o alla settimana, nè assumere etti di formaggio al dì, perchè non vi era la "disponibilità" che oggi "offrono" le Multi Nazionali....Non è scritto in nessun Libro Medico che "devi" mangiare la Carne animale, e sarebbe anche un gesto etico non uccidere. Il pesce rappresenta un percorso alimentare completamente differente, tra l' altro non possiede neuroni "pensanti". E, infine, aumentiamo l' HDL con del buon vino, con cioccolata fondente, con noci, con rosuvastatina...e che Dio ci protegga!!!
inserito il: 16-03-2011 14:29
 
 
MARIA DIVINA PASCUZZO
Tra l'altro un noto Lipidologo ha sostenuto che le statine non aumentano la frazione di colesterolo HDL efficace nel ridurre il rischio CV. Al contrario, l'attività fisica sembra aumentare proprio questa frazione delle HDL
inserito il: 19-03-2011 17:40
 
 
CARLO CIGLIA
Incontriamo il nostro paziente in un momento per noi sconosciuto della sua storia aterosclerotica. Di qui la complessità e molte volte la frustrazione dell'intervento di prevenzione
inserito il: 20-03-2011 11:02
 
 
CESARE RUSCONI
Ma nell'Interheart Study (The Lancet 2011; 377: 469–76) si é dimostrato che la riduzione del Colesterolo LDL con la statina (simvastatina) ha ridotto il rischio di eventi indipendentemente dal livello, alto o basso, di PCR basale.
inserito il: 24-03-2011 20:15
 
 
FILIPPO DELRIO
la pcr se aumentata e' un predittore di qualche rischio (cardiovascolare o non)
percio' , Jupiter o no l'efficacia della rosuvastatina e' dimostrata essere superiore alla simvastatina; per cui io credo che la sottoanalisi dell'HPs e' stata utilizzata per cercare di minare alle fondamenta un dato invece assodato, ovvero la maggior efficacia sul colesterolo della rosuva sulla simva.
inserito il: 25-03-2011 10:48
 
 
GIANFRANCO SALVIOLI
Mi sembra che si faccia troppo affidamento ai farmaci dimenticando un l'età e la rilevanza della prevenzione basata, dopo una corretta anamnesi famigliare, su stile di vita e alimentazione valutando BMI e circonferenza addominale (anche nei più giovani)
inserito il: 30-04-2011 08:31