WHAT WOMEN WANT...

Vogliono dati ed informazioni oggettive e su ampie casistiche relative alle malattie CV nel sesso femminile, oggi praticamente inesistenti. A Heart Failure and Co di scena la Cardiologia al femminile.

 
Si è conclusa da poco, a Milano, la decima edizione di Heart Failure and Co, convegno organizzato dal Edoardo Gronda, Direttore del Dipartimento di Cardiologia dell’Istituto Multimedica di Milano, con la collaborazione di Francesco Donatelli, Ordinario di Cardiochirurgia presso l’Università Statale di Milano e Luigi Padeletti, Ordinario di Cardiologia presso l’Università di Firenze.

Nell’arco delle dieci edizioni sono stati trattati molteplici aspetti dello scompenso cardiaco, coinvolgendo i maggiori esperti italiani e stranieri. Protagoniste del convegno di quest’anno sono state le donne e, infatti, il titolo del Congresso così recitava: “Female doctors speaking on female diseases”.

Durante le 2 giornate del Congresso è emerso come la popolazione femminile sia una popolazione diversa da quella maschile per quanto riguarda l’epidemiologia della malattia cardiovascolare, la diagnosi e la risposta alle terapie. Interessante, infatti, quanto riportato da Eloisa Arbustini che ha mostrato come già dalla struttura vascolare dell’albero coronarico la donna sia diversa dall’uomo. Le coronarie femminili sono in media più piccole e presentano una componente elastica maggiore rispetto all’uomo. Le placche ateromasiche dell’albero coronarico femminile determinano un evento ischemico più frequentemente per erosione piuttosto che per esplosione.

Da questi presupposti deriva anche che le coronarie delle donne vanno più spesso incontro a dissezione spontanea, oppure sono più soggette a stimoli vasomotori, provocando più frequentemente le sindromi di Takotsubo, come confermato anche da Federica Ettori (Figura 1).Figura 1 Da non tralasciare la funzione endoteliale, come riporta Loredana Bucciarelli, che nella donna sembra essere mantenuta e preservata dal suo mileau ormonale, specialmente dagli estrogeni. È, infatti, nel periodo post-menopausale e con il decremento degli estrogeni circolanti che si osserva un incremento della malattia ischemica nella donna che raggiunge un’incidenza pari al sesso maschile (Figura 2 e 3).

Quando le donne vengono indirizzate al Cardiochirurgo per un intervento di rivascolarizzazione miocardica, i dati riportano che più facilmente vengono trattate con graft venosi piuttosto che con arteriosi, portando risultati sulla mortalità superiori rispetto agli uomini. L’anemia costituzionale nelle donne, specialmente quelle più anziane, risulta essere anche un deterrente per il Cardiochirurgo, demandando qualsiasi tipo di intervento, come riportato anche da Lucia Torracca. Il pensiero comune del Convegno è stato il fatto che le donne siano scarsamente rappresentate nei trial osservazionali e d’intervento. Sono state fatte varie considerazioni sul perché accada questo e una delle possibilità, ha chiarito Maria Rosa Costanzo, potrebbe essere il fatto che più difficilmente le donne arrivano all’attenzione del Cardiologo e, quando vi arrivano, sono già in età avanzata, con molte comorbilità e, spesso, l’atteggiamento del CarFigura 2diologo nei loro confronti è conservativo piuttosto che interventistico. La ragione per cui questo fenomeno avvenga è probabilmente da imputare sia allo stile di vita che all’ambiente sociale, che vede la donna al centro della vita familiare come unica responsabile del benessere dei suoi componenti, tendendo così a minimizzare i propri sintomi. In parte, poi, sono responsabili i Medici, che spesso sono mal guidati dalla diversità della sintomatologia della malattia ischemica della donna rispetto a quella dell’uomo e ne ritardano così la diagnosi. La Dr.ssa Ettori ha richiamato l’attenzione, infatti, su come la sintomatologia dell’infarto sia diversa tra i due sessi: mentre l’uomo avverte nella maggior parte dei casi dolore toracico irradiato con sintomi neurovegetativi, la donna riporta invece nausea, malessere diffuso e debolezza, sintomi molto spesso troppo generici e, proprio per questo, misinterpretati e sottovalutati. La scarsità delle donne reclutate nei grandi trial non permette, però, di avere un’indicazione univoca sul trattamento della patologia ischemica e dello scompenso cardFigura 3iaco, ma esiste oggi un ampio “consensus” fatto di opinioni autorevoli. Lecita è quindi la domanda che si pone Mariell Jessup: “perché devo ritenere validi per le mie pazienti tutti i risultati dei trial effettuati su una popolazione maschile con caratteristiche anatomiche, fisiche e di risposta alla terapia diverse dalla popolazione femminile?” Di qui l’esigenza di realizzare grandi trial che diano risposte significative sui quesiti ancora aperti nell’ambito della fisiopatologia e terapia cardiovascolare nella popolazione femminile.

È necessario passare dalla consensus diffusa, estrapolata dall’esperienza clinica e dai dati degli studi attuali, a linee guida basate su dati oggettivi che oggi latitano ancora.

Margherita Padeletti

Dipartimento di Cardiologia
Università degli Studi di Siena