Alcol e fibrillazione atriale – Una sintesi sobria
Fonte: Voskoboinik A - J Am Coll Cardiol 2016;68:2567-2576 - doi: 10.1016/j.jacc.2016.08.07.

L’alcol è popolare nella cultura occidentale, supportato dalla percezione che una modesta assunzione di bevande alcoliche sia cardioprotettiva. Tuttavia, l’eccesso di alcol ha implicazioni negative per le patologie cardiovascolari. La fibrillazione atriale (FA) che segue un’ubriacatura, ovvero la cosiddetta “sindrome del cuore in vacanza” (holiday heart syndrome), è ben caratterizzata. Tuttavia, anche livelli più modesti di assunzione di bevande alcoliche su base regolare possono aumentare il rischio di FA. I meccanismi fisiopatologici responsabili della correlazione fra alcol e FA possono includere una tossicità diretta e un contributo favorente dell’alcol per obesità, disturbi respiratori del sonno e ipertensione. Tre metanalisi di ampie dimensioni hanno dimostrato che una regolare e moderata assunzione di alcol, anche dopo correzione per episodi di ubriacatura, aumenta l’incidenza di FA in maniera dose-dipendente (4-6), in assenza di differenze fra sesso maschile e sesso femminile. Il consumo di alcol è stato definito come segue: leggero (<7 BAS/settimana); moderato (da 7 a 21 BAS/settimana); elevato (>21 BAS/settimana). L’alcol può agire come fattore scatenante la FA, ma può anche agevolare un progressivo rimodellamento atriale con il suo consumo regolare sul lungo termine. Un consumo sostenuto a breve termine di alcol può indurre un rimodellamento elettrico atriale, che genera a sua volta un substrato aritmogeno. Nei conigli, un’infusione di alcol per 5 giorni ha ridotto in maniera significativa la densità delle correnti di calcio di tipo L (ICa,L) e di sodio (INa) (7). In atri di ratti esposti all’etanolo e al suo metabolita acetaldeide è stata osservata un’induzione dell’espressione proteica del canale per il potassio sensibile all’acetilcolina Kir3.1 (IKACh). Un aumento dell’attività di IKACh accorcia il potenziale d’azione promuovendo la ripolarizzazione. In maniera simile, la somministrazione di alcol ha accorciato la durata del potenziale delle vene polmonari di coniglio, sebbene non alterasse l’automatismo e l’attività triggerata di queste cellule. In un modello suino a torace chiuso, Anadon et al. hanno dimostrato che l’intossicazione acuta da alcol aumentava la suscettibilità alla FA dopo la stimolazione atriale programmata. L’effetto diretto dell’alcol, che accorcia il potenziale d’azione atriale e conseguentemente la lunghezza dell’onda atriale, fornisce la base elettrofisiologica per il circuito di rientro della FA. Gli effetti cardiaci acuti dell’alcol nella specie umana sono stati descritti per la prima volta in 14 pazienti sottoposti a studio elettrofisiologico prima e dopo circa 5 bicchieri di whiskey. Come nei modelli animali, l’alcol ha comportato un accorciamento del periodo refrattario effettivo e ha anche rallentato la conduzione intra-atriale (11). In uno studio su bevitori abituali di quantità moderato-intense di alcol, l’ingestione di circa 6 bicchieri di whiskey comportava un allungamento dell’intervallo His-ventricolo (H-V) e un accorciamento del tempo di recupero del nodo del seno, oltre a un’inducibilità di tachiaritmie sopraventricolari e ventricolari nel 71% dei casi (12). La conduzione interatriale, determinata mediante la durata dell’onda P sinusale con ECG signal-averaged, è significativamente superiore nei pazienti con una storia di FA dopo un’ubriacatura rispetto ai controlli di età corrispondente. Tuttavia, dopo assunzione di 1,5 g/kg di etanolo, la durata dell’onda P era prolungata nel gruppo di controllo senza storia di FA (13), il che suggerisce che l’alcol rallenta in maniera diretta la conduzione interatriale in tutti i soggetti. Il ritardo elettromeccanico atriale è stato documentato anche mediante ecocardiografia con Doppler tissutale. In 48 pazienti con FA, i periodi refrattari effettivi atriali erano significativamente più brevi fra i bevitori rispetto ai non bevitori. Il rallentamento della conduzione, in combinazione con l’accorciamento delle refrattarietà atriali, riduce la lunghezza dell’onda di depolarizzazione atriale e facilita il rientro. Al momento in cui si scrive, le variazioni elettrofisiologiche durante il periodo di washout non sono state ben caratterizzate. Nei bevitori cronici è anche frequente l’ipokaliemia, mediata primariamente da una kaliuresi inappropriata per la concomitante ipomagnesiemia presente nel 30% dei forti bevitori. La perdita di potassio può essere precipitata dal vomito che si ha a seguito di un’ubriacatura e predispone alla FA per un aumento dell’eccitabilità, dal momento che l’iperpolarizzazione cellulare riduce il potenziale di membrana a riposo, con un conseguente incremento del reclutamento dei canali del sodio e quindi una più rapida fase di salita del potenziale d’azione.

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ERMETE TRIMEGISTO
Bello studio e titolo intelligentemente ironico.... riesce a vedere il bicchiere "mezzo pieno" dato l'argomento!
inserito il: 13-02-2017 13:08
 
 
LEONARDO SARACINO
si parla di 6 bicchieri di wiskey e di forti bevitori ,ma come si sà la dieta mediterranea include il vino rosso che alle nostre latitudini non supera i 14.15°,e contiene il resveratrolo respsonsabile del famoso paradosso francese...ci sono studi che confutano la bontà di un bicchiere di vino a pasto?dobbiamo togliere a noi stessi e ad i ns pazienti anche questo piacere?
inserito il: 13-02-2017 16:38
 
 
ENRICO CARIOLI
sono d' accordo con il collega Saracino: mentre è ormai accertato e accettato da tutti che forti quantità di alcool (e specialmente superalcoolici) siano dannose, non c'è evidenza attendibile che MODESTE o men che modeste (< 7 BAS per settimana = < 1/2 bicchiere a pasto) quantità di vino siano ancora dannose, o al contrario siano benefiche.
inserito il: 18-03-2017 15:29
 
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