QUANDO E’ APPROPRIATO SI VEDE!!

Il defibrillatore in prevenzione primaria sconta spesso lo scetticismo dei clinici per il non rispetto dei criteri di selezione dei candidati. All’AIAC 2010 i risultati di uno studio “real practice” vs grandi trial.

Poche grandi novità al congresso nazionale AIAC, svoltosi poche settimane fa a Catania, ma intenso e fertile confronto sui grandi temi dell’elettrofisiologia e della cardiostimolazione. Tra le nere rocce laviche non sono mancate, infatti, le controversie sui grandi temi attuali e le rivalutazioni critiche sia dei grandi trial che delle linee guida attualmente vigenti. Ed è proprio in questo conteso che si è inserito il dibattito scientifico sui defibrillatori che, andando a toccare temi caldi e molto sentiti sia dal Medico che dall’Amministratore, ha suscitato un’accesa discussione conclusasi nel consenso. Tutto è nato dalla voglia di mettersi in discussione e cercare di capire quanto i “grandi numeri” dei trial e delle linee guida fossero realmente attesi nella pratica clinica quotidiana e per questo abbiamo analizzato retrospettivamente 79 pazienti consecutivi impiantati con ICD in prevenzione primaria dal 2006 al 2008 e abbiamo confrontato il campione raccolto con i dati emersi in letteratura, sia in termini di caratteristiche demografiche e cliniche, che in termini di valutazione degli effetti della terapia elettrica. Abbiamo confrontato i nostri dati con le evidenze del MADIT II (Multicenter Automatic Defibrillator Implantation Trial) e dello SCD-HeFT (Sudden Cardiac Death in Heart Failure Trial) in quanto costituiscono i due trial chiave che hanno ispirato l’ultima stesura delle linee guida e la regolamentazione da parte del Medicare Coverage americano sui termini di rimborsabilità dell’impianto di un ICD in prevenzione primaria nei pazienti con scompenso cardiaco. Inoltre, abbiamo confrontato i nostri dati anche con i risultati del registro italiano InSync ICD che ci ha fornito la fotografia del mondo “reale”. Sorprendentemente sono emersi dati di assoluta omogeneità tra le parti in causa. Se in un primo momento questo dato poteva sembrare scontato, alla rivalutazione critica, ci ha lasciati sorpresi, quasi increduli, sia per le caratteristiche della popolazione impiantata (sovrapponibile a quella dei trial), sia per i risultati in termini di interventi appropriati ed inappropropriati dei dispositivi impiantati. È interessante che gli interventi in termini di “shock only” per anno siano identici, al primo decimale, tra lo SCD-HeFT ed i nostri dati (Figura 1).Figura 1 Le analogie riscontrate hanno suscitato il nostro interesse in quanto non si riscontrano così facilmente in letteratura. È noto, infatti, che se da una parte autorevoli studi randomizzati e controllati hanno dimostrato una riduzione significativa sia della mortalità aritmica che della mortalità per tutte le cause nei pazienti impiantati con ICD, dall’altra i benefici osservati negli studi randomizzati si sono ridimensionati negli studi osservazionali a causa della differenza esistente tra i pazienti che comunemente incontriamo nella nostra pratica clinica e gli individui, spesso altamente selezionati, che vengono arruolati negli studi randomizzati. La discrepanza tra realtà clinica e grandi trial esiste ed è indiscusso il fatto che i grandi studi abbiano arruolato campioni di popolazione più giovane e con meno comorbilità, quelle comorbilità non cardiache che, quando presenti, hanno la potenzialità di ridurre o addirittura abolire il beneficio dell’ICD in quanto costituiscono rischi “competitivi di morte”. Ciò rende difficile la generalizzazione e l’applicazione dei dati ottenuti dai trial clinici nel mondo reale. Tuttavia, dai nostri dati questa differenza non è emersa forse per la stretta aderenza alle indicazioni delle linee guida e all’attenta selezione del paziente che abbiamo effettuato prima dell’impianto di un ICD in prevenzione primaria, soprattutto in termini di età all’impianto e di comorbilità. L’età media dei nostri pazienti infatti era solo lievemente più alta rispetto ai trial di riferimento e questo dato ha sicuramente condizionato in maniera determinante i nostri risultati (Figura 2).Figura 2 Dall’analisi di ciò che accade nella comune pratica clinica si osserva che 1 su 6 pazienti, per i quali il MEDICARE rimborsa l’impianto dell’ICD in prevenzione primaria, ha un’età maggiore di 80 anni con età media di 70 anni ed ancora che più del 40% dei soggetti impiantati in prevenzione primaria ha un’età maggiore di 70 anni con il 12% di età maggiore di 80 anni. Questo slittamento verso l’alto dell’età negli impianti di ICD che si osserva nel mondo reale, non motivata dai grandi studi, è da ritenersi scientificamente non supportato ma anche filosoficamente ed eticamente poco corretta. Ciò che emerge, infatti, dall’analisi dei grandi trial è qualcosa di diverso ed, in particolare, che nel MADIT l’età media era 62±9 anni ed i pazienti con età maggiore di 80 anni erano esclusi; nello SCDHeFT l’età media era 61 anni ed i pazienti con età maggiore di 65 anni non hanno dimostrato benefici dalla terapia con ICD; nel MADIT II l’età media era 64±10 anni e l’età avanzata, intesa come maggiore di 75 anni, è risultata essere un predittore significativo indipendente di mortalità nel follow-up a lungo termine. Per questi motivi se nella pratica clinica si espandono le indicazioni ai pazienti di età significativamente più avanzata, i risultati che si otterranno non saranno più confrontabili con quelli dei grandi trial, dando maggior risalto alle possibili complicanze più che agli effetti benefici della terapia in oggetto. Dai nostri dati emerge che solo il 3,8% dei pazienti presentava un’età superiore agli 80 anni ed è forse uno dei motivi che ha portato ad ottenere risultati in linea e talora sorprendentemente sovrapponibili con quelli delle grandi esperienze internazionali. Il vizio di fondo della mancata concordanza tra grandi trial e mondo reale non è, a nostro avviso, da attribuire agli studi che ci hanno fornito precise indicazioni, ma va ricercato nella pratica clinica che ha probabilmente esteso un risultato ad un campione di popolazione che non risponde in modo adeguato alla terapia e per cui la bilancia rischio-beneficio pende a favore del rischio. Sappiamo infatti che gli shock erogati dagli ICD sono inevitabilmente accompagnati da peggioramento della qualità della vita (ansia e depressione), ma anche da aumento della mortalità e delle ospedalizzazioni per scompenso. In sintesi, l’età avanzata e le comorbilità costituiscono verosimilmente i due elementi fondamentali che fanno scolorire i risultati dei grandi trial quando applicati alla pratica clinica quotidiana e che instillano quel grado di scetticismo del Cardiologo clinico che porta ad impiantare solo il 50,7% dei pazienti con indicazione all’impianto di ICD, come risulta dallo studio IMPROVE HF (Registry to Improve the Use of Evidence-Based Heart Failure Therapies in the Outpatient Setting). Tutti i concetti sopramenzionati ci devono portare, quindi, ad impiantare di più ed a colmare quel gap di pazienti con indicazione all’impianto di ICD che ancora non vengono impiantati e ad impiantare meno o, meglio, a non impiantare quelle categorie di pazienti per cui già a priori sappiamo che non risponderanno adeguatamente alla terapia o, meglio, che probabilmente saranno esposti ai rischi senza giovarsi dei benefici della terapia stessa. Tale affermazione può sembrare banale e scontata ma forse tanto scontata non è. I nostri dati confermano questo concetto. Infatti, la stretta aderenza alle linee guida ci porta a risultati sovrapponibili a quelli dei grandi trial e questo lo si ha per “sillogismo”. Partendo, infatti, dai grandi trial, dai quali sono state disegnate le linee guida, l’aderenza alle linee guida stesse non può che portarci a risultati sovrapponibili. Occorrerà quindi effettuare una valutazione critica del nostro operato ed avere l’onestà intellettuale e scientifica di saperci fermare dall’impiantare un ICD nei casi non strettamente indicati ma, nel contempo, di aumentare il numero dei nostri impianti a chi a pieno titolo ne ha l’indicazione. Dall’uditorio, a fine presentazione si è levata la voce del geriatra che ha sollevato il quesito, peraltro assolutamente pertinente, sulla differenza tra età anagrafica ed età biologica del paziente con scompenso cardiaco. Questo resta un problema aperto che forse trova la sua soluzione nella terapia di re-sincronizzazione da sola, non affiancata dal defibrillatore. Alla luce dell’evidence based medicine occorre che il mondo scientifico si pronunci e dia alla Cardiologia pratica delle indicazioni più precise in termini di età e comorbilità dei pazienti scompensati con indicazione all’impianto di ICD in prevenzione primaria, magari con un aggiornamento delle linee guida.

Marzia Giaccardi
Leandro Chiodi
Alfredo Zuppiroli
Dipartimento di Cardiologia
ASL 10 Firenze

Andrea Colella
Dipartimento del Cuore e dei Vasi
AOU Careggi – Firenze

 
LUIGI GIANTURCO
Un ottima analisi ed un ottimo lavoro che spero stimoli tutta la Comunità Scientifica ad attivarsi affichè si strutturino Trial il più possibile vicini alla realtà quotidiana che tutti Noi cardiologi incontriamo e siamo costretti ad affrontare.
Non mi resta che complimentarmi coi colleghi di firenze.
inserito il: 23-08-2010 18:17
 
 
GIUSEPPE MARINO BENVENUTO
E' sempre vero il principio che la migliore arte medica per ottenere i massimi benefici terapeutici che osserviamo nei Grandi Trial occorre applicare gli stessi criteri di indicazione. Purtroppo nella pratica clinica non ci si può permettere il lusso di selezionare i pazienti con analoghi criteri restrittivi e "vantaggiosi" per l'uotcome desiderato.
Ciononostante in questo ambito di prevenzione primaria della morte CV ed Improvvisa sarebbe utile aggiungere ai criteri MADIT I e II e SCDHeFT anche alcuni parametri significativi di tale rischio, ottenibili con diagnostica non invasiva (es. potenziali ventricolari tardivi, FC al 1°min di recupero del Test ergometrico,HR variability, HR turbolence, T wave alternans, analisi riflesso barocettivo, ecc).
inserito il: 23-08-2010 21:10