IPERTENSIONE e DECADIMENTO COGNITIVO

Nell’anziano è un problema crescente che va opportunamente affrontato. Un danno potenzialmente prevenibile?

17-1-2011La relazione tra l’ipertensione ed il decadimento delle funzioni cognitive, due tra le condizioni a più alta prevalenza nella popolazione anziana (circa 75% e 30%, rispettivamente) è divenuta oggetto di studio negli ultimi anni. Infatti se il nesso causale fra demenza vascolare ed ipertensione arteriosa è meglio definito, è ancora dibattuto il possibile rapporto fisiopatologico tra ipertensione arteriosa e demenza di Alzheimer. Diversi meccanismi fisiopatologici spiegherebbero questa relazione, infatti, studi istopatologici mostrano che nel 25-50% dei casi esiste un’associazione tra lesioni vascolari (infarti e lacune) e lesioni neuropatologiche tipiche della malattia di Alzheimer (accumulo di ß-amiloide e grovigli neuro fibrillari). I disordini cognitivi possono essere associati sia alla presenza di lesioni ischemiche focali che ad un’ischemia cronica della sostanza bianca che si traduce alla diagnostica per immagini con lesioni diffuse della sostanza bianca - White Matter Lesions (WML) e Leucoaraiosi, espressione della malattia dei piccoli vasi arteriosi cerebrali e della severità dell’aterosclerosi cerebrale. I disordini del microcircolo cerebrale e della funzione endoteliale potrebbero essere responsabili dei disordini cognitivi nei pazienti ipertesi a causa delle modifiche a carico della barriera emato-encefalica con aumento della permeabilità vascolare e stravaso di proteine nel parenchima cerebrale, determinando un accumulo di proteine di ß-amiloide. Inoltre, la ß-amiloide favorirebbe una produzione eccessiva di radicali liberi nelle cellule endoteliali con conseguente attivazione dei meccanismi infiammatori (citochine e richiamo dei leucociti) e modulatori dello stress ossidativo alla base dell’aterosclerosi. Studi trasversali hanno evidenziato che alti valori di pressione arteriosa sia sistolica che diastolica sono associati ad una aumentata prevalenza di decadimento cognitivo e malattia di Alzheimer. Successivamente, studi longitudinali hanno dimostrato come alti valori di pressione arteriosa in età adulta sono predittivi di incidenza di demenza in età avanzata. Parallelamente è noto che in età avanzata i bassi valori pressori sono associati e spesso anticipano l’insorgenza di decadimento cognitivo, verosimilmente per l’instaurarsi di ipoperfusione cerebrale, infatti è noto che valori di pressione arteriosa cronicamente alti stimolano la crescita di cellule muscolari lisce nei vasi di resistenza e quindi l’ispessimento della media nel letto vascolare intracerebrale. Studi sperimentali e clinici hanno dimostrato che l’ipertensione sposta la curva di autoregolazione del circolo cerebrale verso destra a valori di pressione più alta, calcolata di circa 30 mmHg in più, nello stesso tempo il limite inferiore a cui il circolo cerebrale si adegua è spostato anch’esso a destra e quindi i sintomi della ipoperfusione cerebrale si manifestano a livelli di pressione più elevati rispetto ai soggetti con pressione arteriosa normale. È importante, quindi, iniziare il trattamento antipertensivo quanto prima al fine di prevenire il riadattamento del meccanismo di autoregolazione cerebrale, infatti, negli ultimi anni, gli studi hanno spostato la loro attenzione sulla fase iniziale della malattia, ovvero quella legata al disturbo della memoria – Mild Cognitive Impairment (MCI), dimostrandone il ruolo predittivo dell’ipertensione. Contestualmente, diversi studi controllati randomizzati hanno valutato quanto il danno cognitivo è prevenibile con la terapia antipertensiva. A tal riguardo esistono diversi studi randomizzati conclusi e con risultati discordanti (Tabella 1). Tre studi, infatti, hanno ottenuto risultati positivi nella prevenzione della demenza, come il Syst-Eur (Systolic Hypertension in Europe) o del decadimento cognitivo PROGRESS (Perindopril pROtection aGainst REcurrent Stroke Study) e HOPE (Heart Outcomes Prevention Evaluation). Altri non hanno mostrato risultati significativi (MRC, SHEP, SCOPE, HYVET-COG, PRoFESS) (Tabella 1). La discrepanza dei risultati è legata a numerosi fattori, tra cui i più importanti sono: il non avere follow-up lunghi come nell’HYVET-COG (Hypertension in the Very Elderly Trial COGnitive function assessment), non avere un grande numero di pazienti e che spesso per ragioni etiche anche il gruppo di controllo è in trattamento anti-ipertensivo. Anche i risultati delle recenti metanalisi non danno risultati conclusivi; infatti, i risultati derivanti dai dati dello SHEP (Systolic Hypertension in the Elderly), Syst-Eur e SCOPE (the Study on COgnition and Prognosis in the Elderly) dimostrano una riduzione del rischio di demenza dell’11% non statisticamente significativo, mentre la metanalisi derivante dai dati dello SHEP, Syst-Eur, PROGRESS ed HYVET dimostrano una riduzione del rischio del 13% statisticamente significativo. Un recente studio, condotto sul database dell’US Veteran Affairs, 2002-2006, coinvolgente una popolazione di 819.491 ultra-65enni, disegnato per valutare l’efficacia dei sartani e del lisinopril nella prevenzione della demenza e dell’incidenza di Alzheimer, ha dimostrato come per riduzioni simili dei valori pressione arteriosa sistolica e diastolica si osservi una diminuzione significativa dell’incidenza di Alzheimer di 0.76 (0.69 - 0.84) per i pazienti trattati con sartani e di 0.81 (0.73 - 0.90) per il lisinopril. Per i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer in trattamento con sartani vi è evidenza di una riduzione dei ricoveri in Nursing Home (0.51, 0.36-0.72) e di mortalità (0.83, 0.71 to 0.97). Lo studio, inoltre, ha dimostrato come la terapia di associazione paragonata alla terapia con il solo ACE-inibitore è associata ad un ridotto rischio di demenza (0.54, 0.51 to 0.57) e di ricovero in Nursing Home (0.33, 0.22 to 0.49). Esiste, quindi, una oggettiva necessità di studi randomizzati disegnati con lo scopo di analizzare l’effetto della terapia antipertensiva sul decadimento cognitivo, anche nel tentativo di individuare quali siano i valori pressione arteriosa target per il paziente anziano dove bassi valori pressori potrebbero peggiorare la funzione cognitiva. Nell’impostare la decisione terapeutica vanno considerati, inoltre, anche i risultati di alcuni studi che dimostrano come anche la variazione della pressione arteriosa durante la giornata, rilevata mediante la registrazione ambulatoriale, è predittiva di decadimento cognitivo. Infatti, alti valori di pressione arteriosa durante le ore notturne, lo stato di non-dipper e l’esagerata variabilità della pressione sono tutti parametri che si sono dimostrati influenzare la funzione cognitiva. Inoltre, alcuni hanno dimostrato come non solo i valori pressione arteriosa a riposo ma come anche la reattività della pressione arteriosa sistolica e diastolica è risultata associata ad una diminuzione della performance ai test di memoria verbale immediata e ritardata e di funzione esecutiva. In conclusione, l’ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di deficit cognitivo. Il trattamento dell’ipertensione rende il decadimento delle funzioni cognitive un danno potenzialmente prevenibile. Un’attenta valutazione da parte del medico di medicina generale e dello specialista dovrebbe quindi considerare il decadimento cognitivo non solo come “comorbilità” ma come ”target organ damage”. Di conseguenza lo studio del paziente iperteso dovrebbe, sin dall’inizio, comprendere una valutazione cognitiva, almeno di primo livello, per orientare il medico verso le misure di prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari prima della manifestazione clinica del deficit cognitivo.

Francesco Cacciatore
Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Telese Terme, Benevento

 
ANTONIO CORSO
antonio corso prima si asseriva che nell'anziano non bisognava abbassare troppo la p,a, per non correre il rischio dipoperfusione alivello cerebrale quindi i valori pressori bisogna adattarli al singolo soggetto.
inserito il: 05-03-2011 17:00
 
 
GENNARINO BORRELLO
L'ipertensione arteriosa è un fattore di rischio per lo sviluppo di deficit cognitivo e quindi quanto prima possibile bisogna iniziare il trattamento,pare che sia meglio con ARAII o con l'associazione con ACE-in. Mancano però studi randomizzati progettati per valutare non solo l'effetto della terapia antipertensiva sul decadimento cognitivo, ma anche per trovare i valori target di PA, in particolare nell' anziano, in quanto è noto che in questi pz valori eccessivamante bassi di PA potrebbero far peggiorare il disordine cognitivo.
inserito il: 05-03-2011 18:20
 
 
MARIO UGO MIRABELLA
si dovrebbe valutare il deficit cognitivo periodicamente nei pazienti ipertesi allo stesso modo come si valutano le altre complicasnze dell'ipertensione
inserito il: 08-03-2011 18:52
 
 
ENRICO MARIA GRECO
Non sarà che, nel paziente iperteso, la F.A.P. è più frequente e misconosciuta, specie se parossistica, con microlacune ischemiche, emboliche dall' atrio sinistro,che appaiono sintomatiche solo nel tempo, appunto col decadimento significativo? Curi la P.A. e previeni la F.A.
inserito il: 16-03-2011 14:35
 
 
DOMENICO GALASSO
Domenico Galasso Si tratta di un rapporto che va attentamente studiato: esistono marker genetici?e poi quale rapporto tra ipertensione e danno vascolare dei macrovasi e dei microvasi.Quale soglia?quale rapporto con le aritmie e sopratutto con la fibrillazione atriale.Campi di ricerca diversi e affascinanti
inserito il: 11-04-2011 21:15
 
 
SALVATORE DERRICO
i pazienti erano diabetici?
perche' l'ipertensione dovrebbe ridurre l'apporto di ossigeno al cervello?
bisogna ancora studuare bene
inserito il: 11-05-2011 10:52