A CHI IMPIANTO L'ICD?

Stratificazione prognostica nel paziente candidato ad impianto di defibrillatore automatico (ICD) per insufficienza cardiaca e FE ridotta.

22-1-2011L’approccio al paziente candidato all’impianto di ICD prevede una valutazione multiparametrica: da un lato vanno considerate, quali elementi “a favore”, le indicazioni espresse dalle Linee Guida delle Società Europea ed Americana di elettrofisiologia ed elettrostimolazione che si basano sui parametri quali: frazione di eiezione (FE) del ventricolo sinistro e classe funzionale NYHA e, dall’altro, vanno valutati, quali elementi ”contro”, le comorbilità, le possibili complicanze infettive ed i potenziali malfunzionamenti dei sistemi ICD. Infine, pesano sulla decisione alcune osservazioni che derivano dall’analisi dei grandi trial pubblicati (Figura 1). A. Moss e coll ad esempio, analizzando i dati dei principali studi di prevenzione primaria con ICD, hanno evidenziato come il beneficio dell’ICD non sia così evidente quando la FE è >30% (Figura 2). Da qui la necessità di una stratificazione prognostica che vada al di là della semplice FE e classe NYHA ed abbia “finalità conoscitiva” nei pazienti in cui l’indicazione all’impianto di ICD è di classe I e, per contro, “finalità operativa” nei pazienti in cui l’indicazione all’impianto è di classe II ed in tutti i casi in cui il clinico ritenga opportuno un approfondimento diagnostico. 23-1-2011Dal canto suo, la FE come parametro predittivo presenta innegabili “debolezze”: come correlarla, infatti, ai meccanismi della morte improvvisa (MI)? Un soggetto può morire improvvisamente nelle prime fasi di un infarto miocardico acuto (IMA) per un’aritmia maligna che si instaura in un cuore che fino a quel momento aveva una FE normale. Il remodeling ventricolare che consegue ad un IMA rappresenta il substrato aritmogeno su cui agiscono fattori precipitanti quali l’ischemia, gli squilibri emodinamici ed elettrolitici, l’azione dei farmaci e la FE ridotta rappresenta solamente uno dei fattori predisponenti (Figura 3). Questi dati sono ampiamente documentati dalle osservazioni dei registri sulla morte improvvisa, come quello di Maastricht, in cui una FE >30% era documentata nel 52% dei soggetti con storia di cardiopatia e nel 91% dei soggetti senza storia di cardiopatia e dagli studi di prevenzione secondaria con ICD quali l’AVID (Clinical Implications of the Antiarrhythmics Versus Implantable Defibrillators), il CIDS (Canadian Implantable Defibrillator Study) ed il CASH (Randomized Comparison of Antiarrhythmic Drug Therapy With Implantable Defibrillators in Patients Resuscitated From Cardiac Arrest: The Cardiac Arrest Study Hamburg) le cui popolazioni avevano una FE media del 32, 34, 45% rispettivamente. Andando ad analizzarne poi la specificità, intesa come capacità di individuare i soggetti che, nonostante una FE ridotta ed un’insufficienza cardiaca, non sviluppano eventi di MI, i dati dello studio MUSTT (Multicenter Unsustained Tachycardia Trial) riguardanti i 1.791 pazienti con cardiopatia ischemica, FE <40% e tachicardia ventricolare (TV) non sostenuta, non trattati con terapia antiaritmica, dimostrano come il gruppo più a rischio di MI sia quello con FE >30% ed il parametro “inducibiltà allo studio elettrofisiologico (SEF)” sia quello maggiormente predittivo. Una correlazione multiparametrica è sicuramente più efficace nella valutazione del rischio aritmico di un paziente con cardiopatia post-IMA candidato ad ICD come dimostrato da Moss e coll. nell’analisi retrospettiva dei dati dello studio MADIT II (Multicenter Automatic Defibrillator Trial II). 24-1-2011I fattori di rischio nel gruppo trattamento convenzionale che sono risultati predittivi di mortalità totale all’analisi multivariata sono stati: 1) età >70 anni; 2) Classe NYHA >2; 3) fibrillazione atriale; 4) azoto ureico >26mg/dl; 5) durata QRS >0,12sec. L’assenza di questi fattori identifica un gruppo di soggetti (33% della popolazione) con mortalità a 2 anni del 8% che risulta sostanzialmente sovrapponibile a quella del gruppo trattato con ICD. La presenza di 1-2 fattori (51% della popolazione) porta la mortalità ad un valore del 27% che viene ridotta al 15% dalla presenza dell’ICD (p<0,05). I pazienti con >3 fattori di rischio (15% della popolazione) mostrano una mortalità elevata (32%) e sostanzialmente non modificata dall’ICD. Ad ulteriore conferma dell’importanza delle comorbilità, vanno ricordati i dati dello studio Sudden Cardiac Death after myocardial infarction in patients with type 2 diabetes di MJ Junttila e coll. che evidenziano, nei pazienti diabetici tipo II affetti da disfunzione ventricolare sinistra post-IMA, una mortalità improvvisa molto elevata e circa 4 volte superiore a quella di soggetti non diabetici con valori sovrapponibili di frazione di eiezione. L’apice della meticolosità nella valutazione del profilo di rischio del paziente con cardiopatia ischemica e disfunzione ventricolare sinistra viene raggiunta da Buxton e coll. nell’analisi dei dati di 674 pazienti MUST che non avevano ricevuto terapia antiaritmica. Tale sottogruppo aveva mostrato, ad un follow-up di due anni, una mortalità totale ed aritmica rispettivamente del 22 e 14%. L’analisi multivariata su 25 variabili di base (parametri demografici, clinici e strumentali) ha permesso agli autori di creare degli score di profilo di rischio. Secondo tale valutazione un paziente di 60 anni con pregresso by-pass, FE=25%, QRS stretto ed assenza di eventi di scompenso cardiaco ha una mortalità totale ed aritmica del 5 e 2% a 2 anni; al contrario, un paziente di 65 anni con FE=35%, storia di scompenso cardiaco, QRS stretto, TV non sostenute all’Holter ed inducibilità al SEF ha una mortalità totale ed aritmica del 19 ed 11% a 2 anni. L’analisi dei dati dello SCD-HeFT (Sudden Cardiac Death in Heart Failure Trial) confermano, infine, sia nei pazienti con cardiopatia ischemica che con cardiomiopatia dilatativa primitiva che la mortalità per scompenso cardiaco non viene modificata dall’ICD e che i benefici dell’ICD sono maggiori nelle classe NYHA II rispetto alla classe III ed in generale nei pazienti con minor compromissione clinico-strumentale. I pazienti con insufficienza cardiaca in classe NYHA II e III, comunque, beneficiano della terapia di resincronizzazione cardiaca secondo i dati dello studio RAFT (Cardiac-Resynchronization Therapy for Mild-to-Moderate Heart Failure) con una riduzione significativa della mortalità cardiovascolare e delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. È noto, infatti, come a tale terapia si attribuisca anche una azione antiaritmica secondaria all’effetto di reverse remodeling. Altri parametri come la T-wave alternans, il SAECG, l’heart-rate variability ed indagini strumentali come lo studio elettrofisiologico e la risonanza magnetica sono stati, e rimangono tutt’ora, oggetto di valutazione come indicatori prognostici ma i dati fino ad ora raccolti in letteratura non sembrano dirimenti. In conclusione, il moderno approccio al paziente candidato ad impianto di ICD deve tenere in considerazione che tale strumento terapeutico associa ad una sofisticata funzione antiaritmica (ATP + Shock) una funzione di resincronizzazione elettromeccanica (CRT) che integra e completa l’effetto antiaritmico. La FE come elemento singolo di stratificazione prognostica è limitato da una bassa sensibilità e specificità. Parametri come l’età, la durata del QRS e la presenza di fibrillazione atriale hanno un ruolo importante nel delineare il profilo di rischio del paziente. Il peso delle comorbilità (es. diabete ed insufficienza renale), sia come elementi assoluti che come espressione della gravità dell’insufficienza cardiaca, va tenuto in considerazione nella valutazione delle indicazioni all’impianto di ICD. Nei pazienti più compromessi (classe NYHA III avanzata e IV) la mortalità per scompenso cardiaco irreversibile è preponderante e tale osservazione deve improntare le decisioni terapeutiche.

Domenico Facchin
Laboratorio di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria della Misericordia”, Udine

 
GIUSEPPINA ROTELLA
concordo su quanto scritto e pubblicato , mi auguro che gli elettrofisiologisti siano più oculati ed obiettivi nel valutare la scelta dei pz da impiantare, senza farsi influenzare da altri parametri.....
inserito il: 01-05-2011 17:48
 
 
MARIA BANCI
Devo dire che gli aritmologi di riferimento della struttura dove lavoro (non avendo noi in sede un servizio di aritmologia) sono attentissimi a tutti i parametri e fino ad ora abbiamo perso un solo paziente per morte improvvisa . Grazie infinite ai colleghi del Policlinico Casilino
inserito il: 01-05-2011 18:24
 
 
RICCARDO MUSAICO
Credo che, a dispetto delle considerazioni enunziate nell'articolo,che condivido pienamente, ci sia ,nella pratica clinica, una tendenza a impiantare ICD e ICD+CRT superiore rispetto alle effettive necessità!
inserito il: 26-05-2011 06:20